Il processo di estrazione del marmo di Candoglia oggi, ieri, per sempre…
Il Duomo di Milano in negativo
Il 3 settembre 2018, con un boato maestoso, vibrante nel cuore della montagna, è stato estratto dalle Cave di Candoglia un blocco di marmo rosa di 60 metri cubi, del peso di 2.8 tonnellate, alto 5 metri per 8 m di larghezza circa e con uno spessore digradante da 1.45 m a 0.90 metri. Data la scarsità di anfiboli o piani piritizzati, il 40% circa del materiale sarà impiegato per il Duomo di Milano, un’ottima annata.
Ma facciamo un passo indietro… dove ci troviamo e cosa si intende per coltivazione del marmo?
Nel cuore della Val d’Ossola al confine fra Piemonte e Lombardia, affacciata sul versante meridionale delle Alpi e circondata da vie d’acqua (cinque laghi, sulle sponde del fiume Toce), sorge la frazione di Candoglia, famosa fin dal XIV secolo per la coltivazione del marmo rosa impiegato in modo esclusivo per la costruzione del Duomo di Milano su concessione perpetua del Potestà Gian Galeazzo Visconti.
Generazioni di uomini si sono avvicendati qui per trasformare questa brulla e selvaggia montagna in energia viva per la Cattedrale, mettendo manualità, antichi saperi e sudore al servizio della storia, dell’umanità e della natura.
Le prime notizie di attività estrattiva si collocano già in epoca romana, quando le cave erano situate in corrispondenza di affioramenti a fondovalle, più facilmente accessibili. Il filone di roccia metamorfica era però lungo e stretto, motivo per cui è stato necessario nel tempo salire di quota, trasferendo gli operai in base alle risorse, che si facevano spesso faticosamente raggiungibili. Delle molteplici cave, di cui ancora oggi si riscontra memoria inerpicandosi su per le pendici verdeggianti, ancora attiva è la “Cava Madre” a 610 metri s.l.m. dove il materiale disponibile è cospicuo e le condizioni per l’estrazione sono migliori: minor pendenza e una larga discesa, più sicura della via di “lizza” per la movimentazione dei blocchi e il trasporto. Qui nel giacimento madre, già dal 1968 furono effettuate le prime azioni di armatura, consolidamento e di monitoraggio degli spostamenti della roccia, premesse necessarie per lo sviluppo della coltivazione del marmo sia verticale che longitudinale, che ancora oggi ogni anno viene escavato in quantità necessaria e sufficiente per le attività di restauro e sostituzione dei pezzi ammalorati del Duomo di Milano.
Il percorso di estrazione del marmo attualmente si compone di 3 fasi: perforazione, taglio e ribaltamento. Nella prima fase vengono effettuati i 4 fori (ognuno impiega circa 1 ora), prima in senso orizzontale e poi verticale, seguendo l’inclinazione della scistosità per avere meno scarto. Il fine è di creare un circuito continuo in cui inserire un filo diamantato di 20 cm diametro, formato da una serie di perline equidistanti 3 cm, impregnate di diamanti sinterizzati, il tutto plastificato per evitare la dispersione improvvisa e violenta di perline in caso di rottura. Il filo una volta introdotto nei fori di coltivazione aventi diametro di 90 mm, viene chiuso ad anello su una puleggia movimentata da una macchina elettrica che arretra su un binario a cremagliera, e caricato: cioè ruotato più volte su stesso in modo tale che durante il taglio le perline non si deformino. La velocità del taglio è dell’ordine di 12 mq/h ma varia in base ai minerali presenti nella roccia.
Una volta concluso in taglio di base, di schiena e di lato, il blocco di marmo è isolato dal restante masso, quindi nei tagli verticali vengono introdotti cuscini idrodinamici, gonfiati mediante l’introduzione di acqua a pressione. Le spaziature vengono aumentate sino a che è possibile calare un martinetto oleodinamico con quale distanziare ulteriormente le labbra del taglio e causare il ribaltamento del blocco o di parti di esso, che vengono trasportate con un argano fuori dalla galleria e poi in segheria, dove subiscono la definitiva riquadratura.
Con tale operazione, vengono eliminati i “difetti” del blocco, come inserti di pirite o quarzite, discontinuità o livelli caratterizzati da mineralizzazioni non gradite. Gli “scarti” vengono quindi macinati in frantoio a mascelle con carbonato di calcio, ottenendo così un materiale reimpiegabile per il sottofondo stradale o le fondamenta edilizie. L’acqua usata durante il processo di taglio, viene depurata e filtrata, ne deriva carbonato di calcio purissimo e acqua cristallina che scorre verso valle. Conclusione, non esistono resti inutilizzati.