Scultura

Angelo attero turiferario loricato

di Scultore ignoto di origini italiane (?)

Cronologia: Quinto-sesto decennio del XV secolo

Misure cm: 47 × 17 × 9

Materia e Tecnica: Marmo di Candoglia a tuttotondo

N. Inventario: ST97

Raffigurante un “Angelo attero turiferario loricato”, la scultura in marmo di Candoglia è databile fra il quinto e il sesto decennio del Quattrocento. Proveniente dal capitello di un pilone del Duomo, si trova oggi esposta in Museo presso la sala n. 6, dedicata appunto alle statuette dei capitelli dei piloni.

Come specificato nel titolo, l’opera rappresenta un angelo attero, cioè senza ali, che indossa una lorica, corazza utilizzata dai soldati dell’antica Roma. Il termine “turiferario”, invece, designa colui che nella liturgia cattolica porta il turibolo, ossia l’incensiere tenuto dalla figura nella mano destra. La sinistra è appoggiata al fianco, mentre il giovane volto risulta caratterizzato da occhi sottili e allungati, con le pupille incise, naso sottile e fossetta sul mento; la fluente capigliatura è costituita da ciocche ondulate ricadenti ai lati della scriminatura centrale.

L’angelo flette la gamba sinistra avanzando leggermente il piede. Della lorica si evidenziano minuti dettagli, come la cinghia sul petto e le rivettature (ornamenti) dei bracciali, ottenute con piccole incisioni circolari.

Per quanto riguarda il versante stilistico, gli studiosi hanno attribuito l'”Angelo attero turiferario loricato” a un ignoto scultore forse di origini italiane, operante presso il cantiere del Duomo intorno alla metà del Quattrocento e probabilmente autore anche del coevo “Angelo attero con tamburello”, sempre esposto in Museo e proveniente dallo stesso capitello. In particolare, l'”Angelo turiferario” si contraddistingue per una maggiore rigidità generale, forse voluta per evocare un atteggiamento marziale.

Inoltre, entrambe le statuette mostrano affinità con le sculture dell’arca Torelli in Sant’Eustorgio a Milano, attribuita un tempo a Jacopino da Tradate e oggi a Martino Benzoni e Luchino Cernuschi: se tutti e tre lavorarono per il Duomo, dal 1415 Jacopino fu scultore a vita presso il cantiere della Cattedrale e posto a capo di una bottega di formazione di giovani lapicidi (gli artisti che si occupavano soprattutto delle sculture e dei bassorilievi destinati a capitelli, portali ecc.).

Infatti, l'”Angelo turiferario del Duomo” condivide con le figure dell’arca Torelli il dettaglio anatomico del ginocchio flesso, individuato mediante una sottile piega a forma di festone al di sotto della rotula.