Scultura

Lastra traforata

di Scultore ignoto

Cronologia: Terzo quarto del XV secolo

Misure cm: 71 × 72,5 × 10

Materia e Tecnica: Marmo di Candoglia a rilievo

N. Inventario: SR140

La lastra in marmo di Candoglia, risalente al terzo quarto del Quattrocento, proviene con ogni probabilità dall’interno del Duomo, insieme ad altre due opere dello stesso tipo. Tutte e tre sono oggi esposte nella sala del Museo dedicata all’età sforzesca (n. 7).

La lastra, lavorata a traforo, appare costituita da una cornice quadrata al cui interno è ricavato un oblò circolare che contiene, a sua volta, un sottile merletto scolpito secondo un disegno di tipo vagamente vegetale a polilobi.

Al centro spicca l’impresa del cane, un veltro o un levriero, sedente sotto il pino: dietro la testa dell’animale, la mano celeste fuoriesce da un nimbo, compiendo il gesto di liberare il cane da guinzaglio e collare, deposti sul terreno.

L’impresa del cane sedente sotto il pino è tradizionalmente ascritta a Bernabò Visconti (1323-1385), signore di Milano, appassionato cacciatore e proprietario di ben cinquemila cani (la si vede scolpita sul suo monumento funebre già in San Giovanni in Conca, ora alle Civiche Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco di Milano).

L’impresa risulta anche associata al motto “QUIETUM NEMO IMPUNE LACESSET” (“Nessuno impunemente provocherà il pacifico”), qui assente, significando che in caso di aggressione ingiustificata il possessore sarà pronto a reagire con l’approvazione e la protezione del Cielo.

Passata in seguito agli Sforza, l’impresa fu tra le favorite di Francesco (1401-1466), quarto duca di Milano.

Gli studiosi ipotizzano che la lastra, come le altre due, fosse inserita all’interno di un muro o di una finestra del Duomo. Rilievi molto simili a quelli in esame si trovano sulla facciata della cattedrale di Como, dove svolgono una funzione decorativa come elementi terminali alla base dei finestroni: questa soluzione non trova però riscontro nella Cattedrale milanese, dove tale tipo di rilievo a traforo è invece impiegato nel presbiterio, nel transetto e lungo le navate.

In particolare, questi elementi si trovano in una posizione laterale e ribassata rispetto alle finestre che si aprono sull’esterno, all’altezza dell’imposta degli archi delle crociere, probabilmente per consentire l’areazione e l’illuminazione dei condotti presenti al di sopra delle volte delle navate minori.

Eseguita da un ignoto lapicida o scalpellino, al pari delle altre due esposte in Museo la lastra traforata con l’impresa del cane sedente sotto il pino fu forse dismessa all’epoca di Carlo Borromeo (1565-1584), quando l’arcivescovo perorò una campagna contro le manifestazioni più appariscenti e sfrontate del potere laico e nobiliare all’interno dei luoghi di culto.