Scultura

Santa in abito cortese

di Scultore ignoto

Cronologia: Inizio del XV secolo

Misure cm: 51 × 19 × 14

Materia e Tecnica: Marmo di Candoglia a tuttotondo

N. Inventario: ST106

Raffigurante una “Santa in abito cortese”, la scultura in marmo di Candoglia è databile all’inizio del Quattrocento. Proveniente dal capitello di un pilone nel braccio sinistro del capocroce del Duomo, si trova oggi esposta in Museo presso la sala n. 6, dedicata appunto alle statuette dei capitelli dei piloni.

Come accennato, la santa è abbigliata con un elegante abito cortese, dal collo a calice chiuso mediante cinque bottoni e polsini della stessa foggia. La veste, ricadente sino ai piedi e stretta sotto il seno da una cinta, si caratterizza per il panneggio semplificato, con pieghe poco rilevate e mosse verso la destra della figura a causa di una leggera flessione del corpo, dovuta allo spostamento in avanti della gamba sinistra.

Unico attributo del personaggio è un libro chiuso trattenuto con la mano destra, mentre la sinistra, portata al petto, mostra le dita serrate, fatta eccezione per l’indice e il pollice. Il viso allungato ha lineamenti minuti, con iridi e pupille dipinte di nero. I folti capelli ondulati, separati da una scriminatura centrale, profilano il volto, ricadendo all’indietro
in ciocche simmetriche sino a metà schiena.

Per quanto riguarda il versante stilistico, gli studiosi hanno collegato l’opera a un’altra statuetta coeva esposta anch’essa in Museo: la “Santa in abito cortese con coazzone”, attribuita a un artista lombardo fortemente influenzato da modelli artistici nordici, qui tradotti con vivo e ruvido senso plastico.

In merito alla “Santa in abito cortese”, la critica ipotizza invece un altro autore. Se si prescinde dall’analogia degli aspetti della moda e del costume, infatti, fra le due opere emergono diversità soprattutto nella dissimile modalità di trattare il marmo: in particolare, l’impressione è che la “Santa in abito cortese con coazzone” sia servita come modello per la “Santa in abito cortese”, certamente più sommaria e impacciata nel risultato.