La statuetta in terracotta dipinta è oggi esposta in Museo nella sala intitolata alla Galleria di Camposanto (n. 14), luogo nel quale dal Seicento in poi la Veneranda Fabbrica ha custodito i gessi e le terrecotte preparatori delle statue elaborate per il Duomo.
L’opera rappresenta un “Santo martire legato” come un uomo coperto solo da un panneggio sull’inguine, colto all’apice della sofferenza e tensione muscolare nel tentativo di liberarsi dalle corde che gli legano i piedi e la mano destra al tronco di un albero.
La statuetta ha una composizione ardita e di forte tensione dinamica, basata sul movimento contrapposto degli arti inferiori, sensibilmente inclinati verso la sinistra della figura, e il torso e le braccia che scattano in direzione opposta, evidenziando lo sforzo nell’esplosione dei muscoli e nel viso, contratto in una smorfia di dolore con la bocca aperta e i denti in vista.
Il dinamismo è accentuato dal movimento della gamba sinistra, sollevata da terra con il polpaccio che arretra fino ad appoggiarsi al tronco: ciò nonostante, la scultura resta saldamente stabile grazie all’assialità del bacino con la base d’appoggio circolare.
Il “Santo martire legato” è stato oggetto a più riprese di riflessioni che hanno proposto differenti chiavi interpretative circa l’attribuzione, la datazione e il soggetto ritratto: infatti, anche se la corrispettiva statua in marmo non è stata identificata, varie sculture del Duomo presentano affinità stringenti ma diversificate con il modello. Fra esse il “San Giacinto martire” di Carlo Beretta (1725) e il “San Genesio” di Carlo Francesco Mellone (1741 circa).
Inoltre, il mancato ritrovamento della versione marmorea pone un interrogativo su natura e finalità effettive del “Santo martire legato”, che può essere inteso sia come modello di un’opera mai realizzata sia come una prova d’ingresso alla Fabbrica di un giovane scultore. I molteplici e puntuali riscontri evidenziati nei confronti con altre statue attesterebbero a ogni modo una certa notorietà dell’opera, acquisita a cavallo fra Seicento e Settecento, e il suo impiego come modello da studiare da parte di altri scultori.
Attualmente gli studiosi assegnano l’opera a un artista ignoto, datandola alla metà del Seicento.