L’opera, raffigurante “San Carlo in gloria” ed esposta in Museo presso la sala dedicata all’età borromaica (n. 10), fu eseguita nel 1610 da Giovanni Battista Crespi, detto il Cerano, per celebrare la canonizzazione del religioso, arcivescovo di Milano dal 1565 al 1584 e personalità fondamentale della riforma conciliare post-tridentina.
Per il Cerano, sensibile interprete artistico del clima della Controriforma, l’incarico giungeva dopo la realizzazione di alcuni dei celebri quadroni con i “Fatti” (1602-1603) e i “Miracoli” (1610) della vita di Borromeo, commissionati dalla Veneranda Fabbrica e contraddistinti da uno stile in grado di combinare il gusto tardo manierista per i contrasti più accentuati con un concreto senso della realtà quotidiana tipicamente lombardo.
Il dipinto, una tempera su tela di forma ovale, rappresenta la gloria di san Carlo Borromeo: quest’ultimo appare a figura intera in abiti vescovili, con la mitra sul capo e il pastorale stretto nella mano sinistra. Le braccia sono spalancate e lo sguardo rivolto verso l’alto, nel momento dell’ascesa alla gloria dei cieli.
Lo schema della visione è costruito con una forte squadratura del sottinsù, tipicamente lombarda, e l’esecuzione tradisce un tratto rapido e sicuro volto ad accentuare i particolari che dovevano risultare riconoscibili da una visione dal basso.
Secondo gli studiosi, infatti, il quadro corrisponderebbe a quello che le cronache del tempo ricordano appeso sopra la porta della canonica dell’Arcivescovado durante le celebrazioni per la canonizzazione di Carlo Borromeo; un’opera di stesso soggetto e formato, dipinta sempre nel 1610 da Camillo Landriani detto il Duchino, fu posta invece sopra il portale maggiore del Duomo.
L’esecuzione rapida dell’opera oggi esposta in Museo non esclude un’attenta elaborazione del tema da parte del Cerano, come testimoniano due disegni della Biblioteca Ambrosiana e un bozzetto in collezione privata milanese.
A testimonianza della fortuna del dipinto è la copia oggi conservata nel convento dei Carmelitani a Concesa sull’Adda, donata al santuario della Divina Maternità dall’arcivescovo Cesare Monti (1632-1650).