Raffigurante “Santa Radegonda regina di Francia” e databile al 1858, il modello in gesso patinato fu realizzato come prova preparatoria per una scultura marmorea di stesso soggetto (1860), destinata a decorare uno dei finestroni del fianco meridionale del Duomo.
Il modello, oggi esposto nella sala del Museo dedicata all’Ottocento (n. 17), fu eseguito come la statua in marmo da Carlo Romano: originario di Viggiù, presso Varese, egli si formò a Brera con Pompeo Marchesi, uno dei più attivi e apprezzati scultori milanesi di primo Ottocento, operante a lungo anche per il Duomo.
Molto vicino al suo maestro, Romano subì l’influsso neoclassico di Marchesi applicandolo in tutte le sue opere, comprese quelle eseguite dal 1856 in poi per la Cattedrale.
Nel modello per la “Santa Radegonda”, in particolare, l’artista ritrae la santa, regina di Francia che nel VI secolo prese il velo e fondò il monastero di Santa Croce a Poitiers, come una figura femminile abbigliata secondo il suo rango: essa indossa infatti un lungo abito, recante sullo scollo il giglio simbolo della monarchia e stretto in vita da una cintura, i cui cordoni ricadono fin oltre le ginocchia. L’insieme è completato da un manto, chiuso sotto il collo tramite un fermaglio rettangolare.
Il volto, ribassato e inclinato verso la destra di chi guarda, ha un’espressione solenne ed è incorniciato da due bande di lunghi capelli ondulati, parzialmente raccolti sulla nuca e sormontati da una corona.
L’intera figura è percorsa da un movimento contrappuntato che prevede la spalla destra in posizione ribassata rispetto all’altra e la gamba sinistra flessa: la mano destra regge un codice chiuso, la sinistra un crocifisso mutilo dei bracci.
I piedi, quasi del tutto coperti dall’orlo della veste, poggiano su un basamento poligonale, recante sul fronte un’iscrizione con il nome della santa.
La “Santa Radegonda” appartiene a un gruppo di 23 statue commissionate dalla Veneranda Fabbrica nel 1858, alcune delle quali accomunate da velati riferimenti politici: infatti, se l’opera di Romano è stata letta come un omaggio alla Francia insieme al “San Napoleone” di Abbondio Sangiorgio, nel “San Ferdinando” di Angelo Biella appare palese il collegamento con Ferdinando II delle Due Sicilie.
Inoltre, nel San Massimiliano” di Benedetto Cacciatori sarebbe da cogliere un’allusione a Ferdinando Massimiliano d’Asburgo, già governatore della città di Milano e futuro imperatore del Messico, mentre la “Santa Elisabetta d’Ungheria” di Giovanni Bellora sembrerebbe essere stata scolpita per onorare la nuova imperatrice d’Austria, detta Sissi.
Per quanto riguarda il modello della “Santa Radegonda”, gli studiosi hanno sottolineato la grazia e la grande attenzione al personaggio che lo contraddistinguono, tipiche del romanticismo storico, evidenziando anche come l’opera sia caratterizzata da un disegno basato all’accentuazione dei volumi e da un gioco di variazioni che si intesse su di un asse verticale portante. Questo è chiaramente disegnato dalla banda sul corpetto, dai cordoni della cintura e dalle pieghe a filo di piombo della gonna.
Per bilanciare l’asse verticale, l’opera è percorsa dal già citato un movimento contrappuntato, dato dall’ancheggiamento ritmico del corpo, dal movimento delle spalle, dall’aprirsi del manto che ricade in maniera asimmetrica generando profonde ombre laterali facendo risaltare la silhouette della figura.