Raffigurante “Santa Dorotea” e databile al 1866, il modello in gesso fu realizzato come prova preparatoria per una scultura marmorea di stesso soggetto (1867), destinata a decorare uno dei finestroni della sacrestia meridionale del Duomo.
Il modello, oggi esposto nella sala del Museo dedicata all’Ottocento (n. 17), fu eseguito come la statua in marmo da Odoardo Tabacchi: originario di Valganna, presso Varese, egli si formò all’Accademia di Brera con Benedetto Cacciatori, frequentando anche gli studi privati di Abbondio Sangiorgio e, forse, di Pompeo Marchesi.
Attivo per il Duomo dal 1865 al 1867, anno in cui vinse il concorso per la cattedra di scultura all’Accademia Albertina di Torino, Tabacchi fu autore sia di monumenti pubblici sia di vivaci statuine di genere, seguendo una linea stilistica improntata al romanticismo storico in cui prevalgono l’accurata descrizione dei costumi, il gusto pittorico per il modellato e una calibrata attenzione alla resa naturalistica degli effetti di luce.
Una delle sue opere più celebri è il monumento a Cavour per l’omonima piazza milanese (1865), consistente in un ritratto bronzeo a figura intera dello statista accompagnato dall’allegoria dell’”Italia sedente” di Antonio Tantardini.
Nel modello per la “Santa Dorotea” del Duomo, lo scultore ritrae la martire del III secolo originaria della Cappadocia, nell’odierna Turchia, come una giovane donna vestita di una tunica che ricade asimmetrica sulle spalle, lasciando scoperta quella sinistra e creando poche pieghe tubolari nella parte inferiore. Il viso, leggermente inclinato e rivolto in avanti, è incorniciato da due bande di capelli mossi, ed esprime una malinconica fierezza.
Le lunghe chiome ricadono dietro la schiena, mentre le braccia conserte hanno i polsi legati con una corda dalle estremità pendenti sulla tunica. La mano sinistra regge gli emblemi della santa, ossia tre pomi e tre rose fatti apparire per miracolo su richiesta del giudice Teofilo.
Il piede destro risulta arretrato e spostato all’infuori rispetto al sinistro: entrambi scalzi, poggiano su un basamento poligonale con inscritto il nome della santa.
Esempio di un particolare sviluppo in senso espressivo del naturalismo lombardo, il modello della “Santa Dorotea” mostra una maggiore vivacità rispetto alla scultura marmorea finale, per la quale la Veneranda Fabbrica richiese a Tabacchi di mitigare il sentimento che anima il volto della martire.