Modelli scultorei

San Naborre

di Butti Enrico (Viggiù, 1847-1932)

Cronologia: 1876

Misure cm: 100 × 29 × 25

Materia e Tecnica: Gesso a tuttotondo

N. Inventario: MS358

Raffigurante “San Naborre” e databile al 1876, il modello in gesso fu realizzato come prova preparatoria per una scultura marmorea di stesso soggetto (1877), destinata a decorare uno dei finestroni del fianco meridionale del Duomo.

Il modello, oggi esposto nella sala del Museo dedicata all’Ottocento (n. 17), fu eseguito come la statua in marmo da Enrico Butti: originario di Viggiù, presso Varese, egli si formò a Milano all’Accademia di Brera, dove seguì i corsi di Pietro Magni.

Fin dagli esordi, la scultura di Butti mostrò legami molto stretti con la tradizione della Scuola di Milano, rappresentata da quegli artisti attivi a Brera che, fra gli anni Cinquanta e Settanta dell’Ottocento, si affermarono a livello europeo mediante un romanticismo “moderato” (Benedetto Cacciatori, Pompeo Marchesi, Vincenzo Vela ecc.).

In particolare, dopo aver seguito il gusto impressionistico di Giuseppe Grandi, Butti si volse a modi veristici e a temi sociali, ben esemplificati dal celebre “Minatore” bronzeo (1897) custodito presso la Galleria d’Arte Moderna di Milano.

Per quanto riguarda il “San Naborre” del Duomo, lo scultore ritrae il martire del IV secolo come un giovane uomo barbato e vestito da militare dell’esercito romano tardo imperiale (tunica corta, cotta di maglia, cintura, elmo e calzari).

Il viso dall’espressione concentrata è rivolto verso la mano destra, posta all’altezza della coscia e, nella versione marmorea, reggente una croce. L’altra mano risulta invece appoggiata sul torace, con il braccio piegato. Anche la gamba sinistra è flessa e arretrata rispetto alla destra: entrambe poggiano contro un tronco che sostiene la figura, sistemata su un piedistallo con inscritto il nome del santo.

Dal punto di vista stilistico, gli studiosi hanno evidenziato il vigore del “San Naborre”, ispiratore di una forza trattenuta che emerge con prepotenza nel braccio destro con la croce e nell’altro appoggiato sul busto, suggerendo un senso di avvitamento che anima la composizione.

L’attenzione minuta alla resa del vero emerge nel trattamento della superficie della cotta in maglia, nel particolare delle maniche, dove le pieghe si arricciano animando la superficie, nei dettagli dei capelli e della barba che, resi in maniera vibrante, incorniciano l’espressione concentrata.

Fulcro narrativo dell’opera è lo stretto rapporto tra il volto, espressivo e assorto nella meditazione, e l’oggetto sacro che il santo reca con sé. Proprio in questa dinamica contemplazione, nell’unitarietà e nella circolarità narrativa si trovano i caratteri più validi della scultura: Butti riesce infatti a evitare la dispersione dei dettagli e a focalizzare lo sguardo dell’osservatore sul punto psicologicamente più significativo.