Raffigurante “San Francesco” (1182 ca. – 1226), la scultura in marmo di Candoglia è databile fra l’ultimo decennio del Trecento e il primo del secolo successivo. Proveniente dal capitello di un pilone del transetto del Duomo, si trova oggi esposta in Museo presso la sala n. 6, dedicata appunto alle statuette dei capitelli dei piloni.
Il santo di Assisi, patrono d’Italia, è rappresentato come un frate indossante una tonaca cinta in vita dallo scapolare a tre nodi.
Riconoscibile per le stigmate sul costato, che s’intravedono grazie a un’apertura del saio sulla destra, il santo tiene stretto nella mano sinistra una grande croce, mentre la destra risulta mancante.
Il capo, caratterizzato dalla tonsura, appare lievemente inclinato verso la destra della figura.
Gli studiosi hanno evidenziato come quest’opera sia la prima immagine di san Francesco scolpita per la Cattedrale, seguita entro il 1438 da quella, monumentale, donata dai nobili e dagli abitanti di porta Vercellina e collocata all’esterno, nella ghiera della finestra orientale di capocroce.
Per quanto riguarda il versante stilistico, è stato messo in luce come la rigidità del modellato, l’ingenuo naturalismo del volto e la torsione innaturale del capo inducano ad attribuire l’opera a un artista, forse renano o lombardo, ancora estraneo alla svolta tardogotica impressa al cantiere della Cattedrale da Jacopino da Tradate.
Quest’ultimo lavorò per il Duomo dal 1401 al 1425, ottenendo il favore della Veneranda Fabbrica sia per l’alto livello della sua produzione scultorea sia per le sue capacità direttive. Nel 1415, infatti, Jacopino fu nominato scultore a vita presso l’ente e posto a capo di una bottega di formazione di giovani lapicidi, cioè gli artisti che si occupavano soprattutto delle sculture e dei bassorilievi destinati a capitelli, portali ecc.
Una delle sue opere più importanti realizzate per il Duomo è la statua raffigurante papa Martino V (1424), ancora oggi custodita in Cattedrale ed eseguita in ricordo della consacrazione dell’altare maggiore da parte del pontefice.
In essa emergono sia un’interpretazione classicheggiante della pienezza lombarda, come testimonia la morbida ricchezza del panneggio, sia una forte tensione naturalistica, che indaga tanto i particolari naturalistici quanto la psicologia del soggetto rappresentato.