L’arazzo, in trama di lana, seta, argento e oro, completa una serie di “Storie di Mosè” comprendente tre esemplari narrativi (“Il serpente di bronzo”, “Passaggio del Mar Rosso” e “Mosè riceve le Tavole della Legge”), tutti custoditi presso il Museo nella sala a loro dedicata (n. 13).
La serie era in origine completata da ulteriori tre panni narrativi (“Mosè e i falsi profeti davanti al faraone”, “La Pasqua”, “La raccolta della manna”), andati perduti nell’incendio che il 3 agosto 1906 colpì il padiglione Arti Decorative dell’Esposizione Internazionale di Milano, nel quale erano temporaneamente esibiti.
Notevole per la finissima e sontuosa esecuzione e per le bordure con festoni vegetali arricchiti da trofei di caccia e di pesca, scenette figurate o allegoriche, targhe e maschere, la serie di arazzi fu commissionata dai Gonzaga intorno al 1554 alla manifattura mantovana del brussellese Nicola Karcher, uno dei più illustri tessitori dell’epoca attivo in Italia. I cartoni preparatori, dispersi, sono opera di Giovanni Battista Bertani, allievo di Giulio Romano nominato nel 1549 architetto del duca Guglielmo Gonzaga. Fu quest’ultimo a donare la serie all’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, imparentato con la dinastia mantovana, che nel 1569 a sua volta li cedette al Duomo.
L’arazzo con il “Gioco di putti” raffigura, al centro, un grande festone di rami, foglie e mele con sei Cupidi (cinque dei quali alati) intenti a giocare fra loro.
La bordura, mancante del lato inferiore, presenta al centro di quello superiore lo stemma dei Gonzaga, mentre sempre in alto gli angoli ospitano due ovali con “Raffaele e Tobia” e la personificazione della “Giustizia”.
Lo stile dell’arazzo e dell’intera serie appare composito, con spunti tratti da maestri rinascimentali e manieristi quali Giulio Romano, Raffaello, Michelangelo, Francesco Salviati e Agnolo Bronzino.
Inoltre, il gioco dei putti rimanda sia alla descrizione di un dipinto antico data da Filostrato sia al soggetto delle perdute spalliere tessute nel 1521 a Bruxelles per papa Leone X, destinate a ornare i basamenti delle pareti della Sala di Costantino nel Palazzo Apostolico, affrescata dagli allievi di Raffaello dopo la sua morte.
Pertanto, secondo gli studiosi, Il riferimento alla serie pontificia manifesterebbe l’ambizione del cardinale Ercole Gonzaga, vero committente e destinatario degli arazzi del Duomo, di ottenere il trono papale; a tale proposito, è significativo ricordare che affreschi con puttini e ghirlande ispirati alle spalliere vaticane erano già stati dipinti da Anselmo Guazzi nell’appartamento del Gonzaga presso il Palazzo Vescovile di Mantova (1540), sul tiburio dell’Abbazia di San Benedetto Po (1544) e nel salone di Palazzo Malatesta a Mantova (1550 circa).