L’antello della Natività
Esposto presso l’altare della “Madonna dell’albero”, nel transetto nord della Cattedrale
A partire dal 15 Dicembre, in occasione del periodo natalizio, fino al prossimo 6 Gennaio, presso l’altare della Madonna dell’albero, è possibile ammirare “più da vicino”, rispetto alla sua collocazione abituale, un antello che raffigura la Natività del Signore.
L’antello proviene dalla vetrata dell’abside, dedicata al Nuovo Testamento. È questo il modo con cui la Cattedrale sceglie di “fare il Presepe” ogni anno.
Solo qualche attimo prima è la notte col suo buio incombente, col suo silenzio assordante: una notte come tante, pigra nel suo corso, che nasconde tra i suoi mille segreti anche il respiro pesante di una donna in preda alle doglie del parto e l’ansia di un uomo, suo sposo, rassegnato a un rifugio di fortuna, «perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Luca 2,7). Adesso, invece, è la luce! Un’esplosione di luce sorprendente, abbagliante, coinvolgente. È questo “attimo” di abbagliante fulgore, fugace nel tempo, ma “eterno” nel suo cambiare per sempre la storia dell’uomo che Giovan Battista Bertini, con i figli Giuseppe e Pompeo, nella prima metà del XIX secolo, dipinge su vetro nell’antello della Natività. Incastonato nella parte più bassa, dentro il caleidoscopio di forme e colori della grande vetrata absidale, questa luce – solo qui così intensa – fa di questo antello la radice dell’intero racconto. A questa sua luce corrono le scene che precedono e dalla stessa luce, come fronde, si declinano, a salire, gli episodi della vita di Cristo. È l’attimo dell’Incarnazione. Un’Incarnazione che subito si fa Rivelazione, Epifania: “Mistero” rivelato nel delicato, ma decisivo gesto di Maria che “svela” il Bambino. Toglie il velo e lo offre nudo, nella carnalità umana, alla contemplazione di tutti i presenti. È questo gesto che accende la Luce e a essa dà il nome: Gesù, l’Emmanuele il Dio-con-noi. «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Giovanni 1,9). Ne gioisce Maria che avvolta dal medesimo chiarore, nel dolce ed elegante volto, è sorpresa in un tenero sguardo materno carico di affetto e insieme di arcani e profondi pensieri. A questa luce sembra attingere, con la mano sinistra, lo stesso Giuseppe. La luce, veloce, lo risale definendolo nel suo profilo giovane, nel suo sguardo compiaciuto e commosso, nella sua fierezza di esserne custode e garante, ripagato pienamente dei tanti ricorrenti, invasivi “perché”, che lo hanno costretto a faticosi e difficili passi interiori ed esteriori, come il piede sul sasso e il bastone fiorito ricordano. Anche Giuseppe, a suo modo, “svela”: posto in primo piano, leggermente di spalle, ha il ruolo compositivo di “quinta” che, aprendosi a lato, lascia spazio alla luminosa visione di Colui che «è nato per noi» (Isaia 9,5). Suscita curiosità la presenza della donna, a sinistra, che inginocchiata sostiene sulla gamba un bambino: una tacita intesa tra loro genera gesti eloquenti che invitano a superare la visione degli occhi per cogliere l’Oltre e riconoscere nella prodigiosa nascita il Verbo di Dio fattosi carne. La mamma lo indica e il figlio, a mani giunte, lo adora. Semplici pastori accorsi alla grotta chiamati dagli angeli, come la tradizione vorrebbe o presenza inaspettata a prefigurare eventi futuri? E se il bambino fosse il Battista, di soli sei mesi più grande, che farà proprio il medesimo gesto qui anticipato dalla madre e, da precursore, lo indicherà a tutti come «l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo» (Giovanni 1,29)? Ipotesi forzata? Forse, ma l’arte non è certamente digiuna da simili sorprendenti “citazioni”. Chiudono il cerchio delle presenze il profilo di un vecchio pastore che, rapito dalla luminosa visione, si apre in un estatico e commosso sorriso a rivelare un’incontenibile gioia e l’arrivo di un giovane che, fermatosi sulla soglia, quasi d’istinto apre le braccia e spalanca gli occhi in un coinvolgente incanto. E il silenzio carico di luce e di mistero cede al festoso canto degli angeli che, in alto, danno voce alle parole scritte nel cartiglio: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli» (Luca 2,14). Due particolari eloquenti, infine, suggellano l’evento: il panno bianco steso sul cesto ai piedi della mangiatoia a confermare la “messianicità” di questo bambino destinato ad attraversare la croce e la risurrezione, e la luminosa stella cometa che, in alto a sinistra, dopo aver squarciato il buio della notte, annuncia il mattino del Nuovo Giorno, alba di salvezza per l’intera umanità. Al mattino si titola una poesia di Giuseppe Ungaretti: di fronte a tale luminoso “Mistero” possiamo fare nostro il suo unico verso «Mi illumino d’Immenso».








