Il modello in terracotta, datato 1811 e oggi custodito presso il deposito del Museo, raffigura “Amos profeta” (VIII secolo a.C.), che in un momento di trascuratezza religiosa del regno d’Israele annunciò il castigo divino e la salvezza di pochi giusti, destinati a perpetuare il popolo eletto.
Egli è rappresentato come un uomo maturo dalla lunga barba e lo sguardo assorto, con il capo reclinato in avanti e leggermente rivolto verso la sua sinistra.
Abbigliato con una tunica che lascia parzialmente scoperta la parte superiore destra del corpo e un lungo manto che funge anche da velo, il profeta risulta mutilo dell’intero braccio destro; la mano sinistra stringe invece un lembo della veste.
Stante su un basamento poligonale con l’iscrizione del suo nome, la figura porta avanti la gamba destra flessa, mentre la sinistra appare arretrata.
Eseguita come modello per una versione marmorea destinata alla facciata del Duomo, l’opera è stata ricondotta allo scultore Pompeo Marchesi: originario di Saltrio, presso Varese, si formò all’Accademia milanese di Brera, dove vinse un soggiorno di studio a Roma durante il quale ebbe modo di confrontarsi sia con la statuaria antica sia con la produzione artistica di Antonio Canova, maestro del neoclassicismo.
Rientrato a Milano nel 1810, lo scultore inaugurò la sua lunga attività per il Duomo, durata quasi cinquant’anni e avviata con il colossale “San Filippo apostolo” per la facciata della Cattedrale, oggi esposto in Museo nella sala dedicata all’Ottocento (n. 17).