Raffigurante un “Angelo attero con tamburello”, la scultura in marmo di Candoglia è databile fra il quinto e il sesto decennio del Quattrocento. Proveniente dal capitello di un pilone del Duomo, si trova oggi esposta in Museo presso la sala n. 6, dedicata appunto alle statuette dei capitelli dei piloni.
Come specificato nel titolo, l’opera rappresenta un angelo attero, cioè senza ali, intento a percuotere con la mano destra un tamburello. Egli indossa una lunga tunica ricoperta da una sopravveste rimboccata in vita, dal panneggio molto semplificato, che copre forme sode e compatte.
L’angelo ha occhi sottili e allungati dalle pupille incise, guance piene, naso piccolo e il capo ricoperto da grandi boccoli. Il dato anatomico è ricondotto a una notevole stilizzazione formale. La figura, ben eretta, mostra una sua dinamica interna nella torsione del busto, con il capo volto verso la destra del personaggio e le mani a sinistra, nel gesto di suonare; in basso, a tendere la veste dalle pesanti pieghe verticali, sporge il ginocchio sinistro lievemente flesso.
Per quanto riguarda il versante stilistico, gli studiosi hanno attribuito l'”Angelo attero con tamburello” a un ignoto scultore forse di origini italiane, operante presso il cantiere del Duomo intorno alla metà del Quattrocento e probabilmente autore anche del coevo “Angelo attero turiferario loricato”, sempre esposto in Museo e proveniente dallo stesso capitello.
Inoltre, entrambe le statuette mostrano affinità con le sculture dell’arca Torelli in Sant’Eustorgio a Milano, oggi attribuita a Martino Benzoni e Luchino Cernuschi, attivi anche per il Duomo: in particolare, nell'”Angelo attero con tamburello” l’autore tenta, come Benzoni, un parziale e cauto rinnovamento del linguaggio scultoreo imposto a Milano da Jacopino da Tradate fin dai primi anni del Quattrocento, attraverso la semplificazione grafica dei panneggi e la pienezza dei volumi e delle carni.