Questo pregiato calice liturgico in rame e argento dorato si contraddistingue per le ricche decorazioni a tutto tondo in corallo rosso, che ricoprono gran parte della sua superficie: baccelli, fiori, foglie, testine di cherubini e putti, trofei vegetali ecc.
L’utilizzo di tale materiale è particolarmente importante a livello simbolico, considerando che nella tradizione cristiana il corallo rappresenta fin dall’antichità il sangue di Cristo, la sua Passione e Resurrezione, e dunque la sua natura al tempo stesso umana e divina.
Il calice apparteneva in origine a Carlo Francesco Airoldi (1637-1683), prelato milanese che nel corso della sua vita arrivò a ricoprire il ruolo di vescovo assistente al soglio pontificio. Esponente di una delle più importanti famiglie della Lombardia spagnola, Airoldi espresse nel suo testamento la volontà di donare il calice al Tesoro di san Carlo, custodito in Duomo: da qui è giunto poi in Museo, dove si trova tuttora esposto all’interno di una delle sale dedicate al Tesoro della Cattedrale (n. 2).
Studi approfonditi hanno portato a ipotizzare che il calice, probabilmente inviato ad Airoldi da un esponente della sua famiglia trasferitosi a Palermo, sia stato realizzato in Sicilia da maestranze trapanesi in collaborazione con un orefice proveniente dalla Lombardia: tra Cinque e Seicento, infatti, sono attestati sull’isola numerosi maestri lombardi attivi nell’ambito delle arti preziose, soprattutto comaschi e milanesi.