L’opera, databile alla fine del Trecento e oggi custodita nei depositi della Veneranda Fabbrica, è uno degli oltre seicento peducci del Duomo, elementi di sostegno degli archetti trilobati presenti sulla zoccolatura della Cattedrale.
Caratterizzati dalle forme più svariate (busti e figure umane, animali reali o fantastici, teste di mascheroni ecc.), i peducci sono stati soggetti ideali per gli scultori del Duomo, che hanno riversato in essi una ricchezza di fantasia ben superiore alla loro effettiva importanza architettonica.
In particolare il peduccio in oggetto, proveniente da un contrafforte del braccio di croce meridionale, è uno dei più antichi. Custodito in deposito, rappresenta Cristo a mezzobusto secondo l’iconografia del Salvator Mundi, cioè frontale con il libro nella mano sinistra e il globo nella destra: quest’ultima risulta perduta, mentre abrasioni profonde hanno quasi cancellato la capigliatura bipartita, la fronte e il naso allungato. Inoltre, bocca e mento appaiono tamponati con resina epossidica, e i grandi occhi spalancati contengono pupille originali in piombo.
Infine, dietro la testa, s’innalza l’imposta frammentaria dell’archetto trilobato sostenuto inizialmente dal peduccio.
Secondo gli studiosi, in base alle sue caratteristiche formali il peduccio sarebbe attribuibile a un lapicida locale, attivo per il cantiere del Duomo tra la fine del Trecento e l’inizio del secolo successivo.
Inoltre, la posizione dell’opera in una parte della zoccolatura realizzata nel corso del Seicento si può spiegare
con l’impiego assai tardo di peducci realizzati in precedenza e ancora da collocare, oppure con lo spostamento
da un’altra zona.