L’antello di vetrata, databile al 1835, appartiene alla vetrata dell'”Apocalisse”, decorante il grande finestrone centrale dell’abside del Duomo, particolarmente riconoscibile anche dall’esterno perché connotato al centro dalla “raza”, il sole raggiante emblema dei Visconti.
Avviata nel 1417 e terminata nella seconda metà del Cinquecento, la vetrata narra episodi tratti dall’Apocalisse di san Giovanni evangelista, unico libro profetico del Nuovo Testamento che contiene misteriose rivelazioni sui destini ultimi dell’umanità e del mondo.
L’antello intitolato “Fugit in solitudem”, probabilmente mai messo in opera e dal 1977 in Museo, oggi nella sala dedicata all’Ottocento (n. 17), rientra nella grande campagna di sostituzione di vetri ammalorati dai finestroni del Duomo, affidata nel 1833 dalla Fabbrica a Giovanni Battista Bertini.
Quest’ultimo aveva infatti elaborato un metodo che gli consentiva di sostituire gli antichi mosaici di tessere di vetro colorato in pasta, con ombreggiature di “grisaglia” monocroma e legate tra loro da profili di piombo, dipingendo su larghe lastre di vetro bianco smerigliato e apponendo sulla stessa porzione più colori.
Tale tecnica consentiva inoltre di far coincidere le legature di piombo con i profili delle figure, in modo che il reticolato di piombi non alterasse l’unità cromatica e compositiva delle vetrate.
Grazie a questo procedimento, Bertini e i figli Giuseppe, Guido e Pompeo si dedicarono fino al 1905 sia al restauro dell’antico patrimonio vetrario della Cattedrale sia alla creazione di opere nuove, nel clima del revival gotico romantico.
Oggi considerati sovvertitori dell’antica tecnica vetraria proprio in virtù del loro metodo, i Bertini ebbero comunque il merito di recuperare una pratica in totale decadenza da più di due secoli, conferendo al Duomo il ruolo di centro promotore italiano della rinascita dell’arte vetraria.
L’antello dal titolo “Fugit in solitudem”, nello specifico, rappresenta la Donna dell’Apocalisse, figura enigmatica riconosciuta di volta in volta come la Vergine Maria o come la personificazione della Chiesa o di Israele.
Seduta in primo piano all’interno di una grotta rocciosa, la Donna è abbigliata con una tunica rossa e un manto blu; un fluttuante velo bianco le copre invece il capo, circondato da un’aureola di stelle.
La mano sinistra regge il Libro della Rivelazione, mentre l’indice di quella destra indica il terreno. Lo sguardo della Donna è invece rivolto a destra di chi guarda, dove sullo sfondo di cielo appare il drago a più teste: secondo l’Apocalisse di Giovanni, infatti, la Donna fugge nel deserto per nascondersi dal mostro, comunemente identificato con Satana, dopo aver sottratto dal suo attacco mortale il Figlio appena nato.
Il soggetto della scena è esplicitato dall’iscrizione latina in basso che riporta il relativo passo biblico (“fugit in solitudinem … APOC.C.XII”). L’iscrizione, come alcune tessere dello sfondo, furono restaurate nella seconda metà dell’Ottocento.
Dal punto di vista stilistico, gli studiosi hanno individuato il modello utilizzato da Bertini per la Donna dell’Apocalisse nella personificazione della “Teologia” dipinta da Raffaello sulla volta della Stanza della Segnatura (1509-1511, Musei Vaticani).