La lastra in marmo di Candoglia, risalente al terzo quarto del Quattrocento, proviene con ogni probabilità dall’interno del Duomo, insieme ad altre due opere dello stesso tipo. Tutte e tre sono oggi esposte nella sala del Museo dedicata all’età sforzesca (n. 7).
La lastra, lavorata a traforo, appare costituita da una cornice quadrata, al cui interno è ricavato un oblò circolare che contiene, a sua volta, un sottile merletto, scolpito secondo un disegno di tipo vagamente vegetale a polilobi.
Al centro spicca l’impresa del morso di cavallo o “moraglia”, avvolta da un cartiglio con il motto “ICH VERGHES NIT” (“Io non dimentico”), mentre sul perimetro inferiore dell’oblò si stagliano delle briglie.
L’immagine del morso di cavallo fu adottata da Gian Galeazzo Visconti come impresa personale, e incarna alcune delle qualità che il primo duca di Milano si attribuiva: moderazione, temperanza e dominio di sé. Unito alle briglie è inoltre un attributo della giurisprudenza, e rappresenta il freno della riflessione che modera il giudizio e l’applicazione delle leggi.
Con la successione nel ducato gli Sforza si appropriano anche delle insegne del potere visconteo: il motto “ICH VERGHES NIT” è aggiunto all’impresa del morso da Galeazzo Maria Sforza. Oltre che da lui, l’emblema viene portato anche da Francesco, Gian Galeazzo, Ludovico e Massimiliano Sforza.
Gli studiosi ipotizzano che la lastra, come le altre due, fosse inserita all’interno di un muro o di una finestra del Duomo. Rilievi molto simili a quelli in esame si trovano sulla facciata della cattedrale di Como, dove svolgono una funzione decorativa come elementi terminali alla base dei finestroni: questa soluzione non trova però riscontro nella Cattedrale milanese, dove tale tipo di rilievo a traforo è invece impiegato nel presbiterio, nel transetto e lungo le navate.
In particolare, questi elementi si trovano in una posizione laterale e ribassata rispetto alle finestre che si aprono sull’esterno, all’altezza dell’imposta degli archi delle crociere, probabilmente per consentire l’areazione e l’illuminazione dei condotti presenti al di sopra delle volte delle navate minori.
Eseguita da un ignoto lapicida o scalpellino, al pari delle altre due esposte in Museo la lastra traforata con l’impresa del morso di cavallo fu forse dismessa all’epoca di Carlo Borromeo (1565-1584), quando l’arcivescovo perorò una campagna contro le manifestazioni più appariscenti e sfrontate del potere laico e nobiliare all’interno dei luoghi di culto.