Scultura

Maria Maddalena

di Jacopino da Tradate (notizie dal 1401 - Mantova, 1464-1466?), ambito di

Cronologia: 1415-1420 circa

Misure cm: 52,5 × 21 × 17

Materia e Tecnica: Marmo di Candoglia a tuttotondo

N. Inventario: ST74

Raffigurante “Maria Maddalena”, la scultura in marmo di Candoglia è databile fra il 1415 e il 1420 circa. Proveniente dal capitello di un pilone del Duomo, si trova oggi esposta in Museo presso la sala n. 6, dedicata appunto alle statuette dei capitelli dei piloni.

La santa, ossessa miracolata da Gesù che lo seguì fino alla crocifissione ed ebbe per prima il privilegio di vederlo risorto, è rappresentata con il suo consueto attributo, l’urna degli unguenti, nella mano sinistra.

Abbigliata con una tunica e un manto dagli abbondanti panneggi, la santa ha il capo velato leggermente reclinato verso la sua destra.

Per quanto riguarda il versante stilistico, gli studiosi attribuiscono la “Maria Maddalena” a un allievo di Jacopino da Tradate: originario della località in provincia di Varese, quest’ultimo lavorò per la Cattedrale milanese dal 1401 al 1425, ottenendo il favore della Veneranda Fabbrica sia per l’alto livello della sua produzione scultorea sia per le sue capacità direttive. Nel 1415, infatti, Jacopino fu nominato scultore a vita presso l’ente e posto a capo di una bottega di formazione di giovani lapicidi, cioè gli artisti che si occupavano soprattutto delle sculture e dei bassorilievi destinati a capitelli, portali ecc.

Una delle sue opere più importanti realizzate per il Duomo è la statua raffigurante papa Martino V (1424), ancora oggi custodita in Cattedrale ed eseguita in ricordo della consacrazione dell’altare maggiore da parte del pontefice.
In essa emergono sia un’interpretazione classicheggiante della pienezza lombarda, come testimonia la morbida ricchezza del panneggio, sia una forte tensione naturalistica, che indaga tanto i particolari naturalistici quanto la psicologia del soggetto rappresentato.

Tornando alla “Maria Maddalena”, in essa l’ignoto autore esprime una brillante capacità di sintesi compositiva e un fare ritmico ed elastico che contraddistinguono anche il coevo “Santo vescovo”, proveniente dallo stesso capitello e ugualmente esposto in Museo.