Rivestita da un mosaico multicolore di penne di uccelli tropicali, la mitra di san Carlo è una delle opere più originali e affascinanti esposta presso la sezione del Museo dedicata al Tesoro del Duomo (sala n. 2).
Realizzato da maestranze messicane tra il secondo e il terzo quarto del Cinquecento, il prezioso copricapo liturgico riservato alle funzioni solenni fu offerto dai cattolici delle Indie occidentali al papa milanese Pio IV: a sua volta, quest’ultimo la donò al nipote Carlo Borromeo, arcivescovo della città ambrosiana fra 1565 e 1584 dal quale la mitra prende appunto il nome.
Custodita per secoli all’interno del Tesoro della Cattedrale, nel 1953 l’opera è entrata a far parte della collezione del Museo; formata da un’anima di carta di agave e tela su cui sono applicate le penne, tagliate in modo da creare un disegno, la mitra presenta sia sul fronte sia sul retro la medesima immagine, ispirata alla Passione di Cristo e incentrata su un monogramma formato da nomi intrecciati di Gesù (IHS) e Maria (MA).
Al centro campeggia il Crocifisso, sotto il quale trova posto l’episodio della messa di san Gregorio: Gesù morente è affiancato sulla sinistra dalla Vergine e sulla destra da san Giovanni evangelista, ai cui piedi si trovano la lancia, la spugna e la scala impiegati nella crocifissione. I tre personaggi, combinati con i bracci della croce, formano la M e la I del monogramma.
Al di sotto, in targhe disposte in modo da costituire la H combinata con la S fogliacea, sono invece collocati vari episodi e strumenti della Passione, o “arma Christi”. A partire da sinistra e procedendo verso il basso si incontrano infatti, per esempio, il bacio di Giuda, Cristo alla colonna, la tunica e i dadi (nel raccordo della H) e diversi particolari degli aguzzini del Signore: la tenaglia, le mani che schiaffeggiano e reggono il flagello ecc.
All’esterno del monogramma, la cui iconografia deriva da un prototipo del tardo Quattrocento diffuso tramite stampe, sono rappresentati gli evangelisti con i rispettivi simboli, mentre la punta del paramento ospita un Redentore benedicente; la figurazione è conclusa inferiormente da una banda di tessuto verde con ricami di piccoli motivi vegetali dorati, con molta probabilità aggiunta all’opera in un secondo momento.
Le due bende pendenti ai lati della mitra, dette infulae, appaiono decorate con un motivo ornamentale a cornucopie intrecciate, tra cui fanno capolino alcuni volatili; esso si interrompe nella parte inferiore per lasciare il posto a uno stemma entro scudo a testa di cavallo, sormontato dal triregno e dietro il quale si intrecciano le chiavi di san Pietro.
Lo stemma, una navicella con uccellino che si staglia su uno sfondo rosso sul quale si sovrappone una rete, non è riferibile ad alcun pontefice, ma va messo in rapporto con la creazione di armi di fantasia nella Nuova Spagna.
La mitra milanese, vero e proprio capolavoro del suo genere, è uno dei sette esemplari risalenti al Cinquecento inoltrato giunto fino a noi: da lontano la sua superficie appare uniforme, e solo avvicinandosi si nota come l’intera composizione sia realizzata in penne, alcune delle quali cambiano colore a seconda dell’incidenza della luce. Così, lo sfondo della mitra può diventare di un intenso azzurro, e le porzioni nere delle lettere mutare in viola.
Un esemplare quasi identico, datato fra 1559 e 1566 circa, è attualmente custodito presso la Hispanic Society of America.