Dipinti

San Carlo in processione

di Galizia Fede (Milano, 1578-1630)

Cronologia: Primo quarto del XVII sec. circa

Misure cm: 216 × 121

Materia e Tecnica: Olio su tela

N. Inventario: D10

L’opera, raffigurante “San Carlo in processione con il Santo Chiodo” ed esposta in Museo presso la sala dedicata alla fine dell’età borromaica (n. 11), fu eseguita entro il primo quarto del Seicento da Fede Galizia, celebre pittrice di origini cremonesi documentata a Milano dal 1587 al 1630.

Famosa soprattutto per le sue nature morte con fiori e frutta, nelle quali suggestioni fiamminghe si fondono alla tradizione del naturalismo lombardo, l’artista eseguì anche ritratti e pale d’altare che ottennero uno straordinario successo, raggiungendo persino la corte imperiale di Rodolfo II d’Asburgo.

L’olio su tela del Museo del Duomo, con molta probabilità realizzato su commissione dei padri teatini milanesi di Sant’Antonio, fu acquistato dalla Veneranda Fabbrica nel 1919: di forma rettangolare, esso rappresenta appunto la processione organizzata il 6 ottobre 1576 dall’arcivescovo Carlo Borromeo (canonizzato nel 1610) per chiedere a Dio la fine della terribile pestilenza che aveva colpito Milano.

In primo piano si staglia la figura dell’arcivescovo, reggente fra le mani la reliquia del Santo Chiodo inserita all’interno di una croce lignea. Collocato sulla volta dell’abside del Duomo, dove si trova tuttora, il Santo Chiodo proveniente dalla Croce di Cristo è una delle reliquie più importanti fra quelle custodite nella Cattedrale.

Borromeo, i cui occhi pieni di lacrime sono rivolti verso il Santo Chiodo, indossa talare e rocchetto bianchi, mozzetta rossa e cappa pontificia pavonazza con il cappuccio calato sul viso. La corda al collo e i piedi scalzi, con l’alluce destro ferito, sottolineano il carattere penitenziale della processione.

Al di sopra della sua figura, davanti a un raggio di luce che fende il cielo terreo, volano due angioletti: quello di destra reca il galero, copricapo cardinalizio, mentre quello di sinistra tiene in una mano un rametto d’ulivo, segno di pace da parte di Dio, e nell’altro una spada con la lama rivolta verso l’alto (simbolo della giustizia divina).

Alle spalle del religioso si apre la piazza del Duomo, sulla quale si affacciano a destra l’isolato del Rebecchino e Palazzo Ducale, e a sinistra la Cattedrale: di quest’ultima si notano in particolare il campanile, il tiburio e la facciata tardo trecentesca, ultimo residuo dell’antica basilica di Santa Maria Maggiore demolita per far posto al nuovo Duomo.

La piazza è inoltre attraversata dal corteo di fedeli che sta rientrando in Cattedrale: se a destra è possibile individuare cinque canonici abbigliati come Carlo Borromeo, il gruppo di sinistra porta con sé croci processionali e candele. Queste figure sono rese con poche pennellate e una tavolozza che tende al monocromo all’aumentare della distanza dall’osservatore.

Caratterizzato da una grande attenzione ai dettagli, il dipinto di Fede Galizia è particolarmente rilevante per la testimonianza che offre dell’aspetto del Duomo e della sua piazza nell’ultimo quarto del Cinquecento. Si osservi, nello specifico, la facciata di Santa Maria Maggiore: decorata da un gioco policromo di marmi bianchi e neri e da un protiro con leoni stilofori, essa appare coronata da una particolare cornice curva. In queste forme la sua immagine fu utilizzata per molto tempo come simbolo della Veneranda Fabbrica.