Modelli scultorei

Santa Caterina da Siena

di Marchesi Pompeo (Saltrio, 1789 - Milano, 1858)

Cronologia: 1854

Misure cm: 97 × 32 × 27

Materia e Tecnica: Gesso a tuttotondo; croce in legno

N. Inventario: MS343

Raffigurante “Santa Caterina da Siena” e databile al 1854, il modello in gesso fu realizzato come prova preparatoria per una scultura marmorea di stesso soggetto (1856), destinata a decorare la nicchia sinistra dell’altare di Sant’Agata in Duomo e tuttora in loco.

Il modello, oggi esposto nella sala del Museo dedicata all’Ottocento (n. 17), fu eseguito come la statua in marmo da Pompeo Marchesi: originario di Saltrio, presso Varese, si formò all’Accademia milanese di Brera, dove vinse un soggiorno di studio a Roma durante il quale ebbe modo di confrontarsi sia con la statuaria antica sia con la produzione artistica di Antonio Canova, maestro del neoclassicismo.

Rientrato a Milano nel 1810, lo scultore inaugurò la sua lunga attività per il Duomo, durata quasi cinquant’anni e avviata con il colossale “San Filippo apostolo” per la facciata della Cattedrale, anch’esso oggi custodito in Museo negli ambienti destinati all’arte ottocentesca.

Nel modello per la “Santa Caterina da Siena”, Marchesi ritrae la patrona d’Italia e dottore della Chiesa in atteggiamento contemplativo. Abbigliata con la veste delle Terziarie domenicane, la santa rivolge il viso incorniciato dal velo verso la sua sinistra, reggendo nelle mani quasi congiunte all’altezza del bacino un crocifisso e un ramo di gigli. L’indice e il pollice della mano sinistra appaiono non totalmente integri.

Sopra il velo è disposta una corona di spine, mentre il braccio sinistro solleva il manto creando una serie di pieghe che movimentano la figura. Infine, se la gamba destra è diritta, quella sinistra è leggermente flessa e arretrata, come dimostra il piede piegato verso sinistra. La scultura poggia su un basamento poligonale recante sul fronte un’iscrizione con il nome della santa.

Secondo gli studiosi, la versione marmorea della “Santa Caterina” rappresenta uno degli esiti maggiormente interessanti dell’ultima attività di Marchesi, discostandosi dalla sua produzione classicheggiante più nota ma conservando la consueta, estrema compostezza, oltre che rigorosità e purezza di linee.

Nel modello in gesso, giudicato di qualità superiore al marmo, lo scultore realizza una composta articolazione di volumi definiti in maniera nitida. Ciò avviene mediante minimi accorgimenti che rompono il rigore simmetrico generale: la leggera inflessione del volto e il gorgo di pieghe sotto al braccio destro sono infatti variazioni che mantengono intatta la meditata compostezza dell’opera, eliminando il pericolo di una composizione ingessata in una perfetta simmetria.

Allo stesso tempo concorre ad animare la scultura la tessitura luminosa, giocata sulla chiara contrapposizione di profonde ombre e piani in luce. Un esempio particolarmente poetico è dato dal volto della santa che emerge da una mandorla d’ombra, sfumata dal fitto reticolo del soggolo, incorniciato dalla luce riflessa dai piani del risvolto del velo.

L’opera, inoltre, mostra il tentativo da parte di Marchesi di aggiornarsi ai canoni formali della moderna pittura romantica: si veda per esempio l’affinità della “Santa Caterina” con la “Signora di Monza” dipinta nel 1847 da Giuseppe Molteni (oggi ai Musei Civici di Pavia), oppure con le “Meditazioni” e le “Malinconie” di Francesco Hayez.