Raffigurante un “Santo” o un “Profeta”, la scultura in marmo di Candoglia è databile al terzo quarto del Quattrocento. Proveniente dal capitello di un pilone del Duomo, si trova oggi esposta in Museo presso la sala n. 6, dedicata appunto alle statuette dei capitelli dei piloni.
Il personaggio, con il capo e il busto arretrati verso la sua sinistra, ha il capo pressoché calvo tranne alcune ciocche ricadenti sulla fronte corrucciata, che è un tutt’uno con le arcate sopracciliari. Gli occhi appaiono scavati e infossati, il naso risulta poco rilevato e la bocca carnosa, evidente solo nel labbro inferiore, è in parte nascosta da lunghi baffi spioventi e da una folta barba a ciocche ondulate e simmetriche.
La figura, mutila del braccio destro e della mano sinistra, indossa una lunga tunica dall’ampia scollatura squadrata e profilata da una banda decorativa, che scendendo fino alla base lascia scoperte solo le dita del piede sinistro.
Dalla spalla sinistra cala sul braccio un manto, arricciato sul fianco destro e ricadente in pieghe che vanno via via allargandosi fino all’altezza delle ginocchia; anche il manto mostra lungo gli orli la stessa banda decorativa dello
scollo della veste.
Per quanto riguarda il versante stilistico, gli studiosi hanno apprezzato il plasticismo austero del “Santo” o “Profeta”, connotato da una linea elegante e sinuosa impreziosita dai dettagli della barba e del volto. Inoltre, il modo sintetico di eseguire il panneggio e il modellato inciso del capo avvicinano lo stile dell’ignoto autore a quello delle prime opere di Giovanni Antonio Amadeo: architetto e artista di punta del Rinascimento lombardo, impegnato dalla seconda metà del Quattrocento nella decorazione scultorea della Certosa di Pavia, egli fu attivo anche per il Duomo, dove insieme a Giangiacomo Dolcebuono vinse il concorso per la costruzione del tiburio, ultimato nel 1500.