La statuetta in terracotta, datata 1729 e raffigurante il “Sonno di Endimione”, è oggi esposta in Museo nella sala n. 15, che custodisce in larga parte le sculture presentate tra la fine del Seicento e il Settecento dagli artisti per essere ammessi alle dipendenze della Veneranda Fabbrica.
L’opera è ispirata al mito greco-romano di Diana ed Endimione, secondo cui la dea della caccia si innamorò del giovane pastore addormentato e scese dal cielo notturno per incontrarlo. Nella terracotta, Endimione si trova a sinistra su una roccia presso un albero, con il capo poggiato sulla mano destra e mutilo della gamba corrispondente.
A destra è invece Diana, con una mano protesa verso Endimione: la dea, indentificata da un diadema a mezzaluna sulla fronte, indossa una corta tunica dai panneggi svolazzanti. Dietro di lei sta Cupido con la faretra, in volo su una nuvola. Concludono la composizione, ai piedi di Endimione, un corno e due zampe animali mutile, probabilmente di un cane.
Grazie ai documenti d’archivio, gli studiosi hanno ricondotto l’opera a Elia Vincenzo Buzzi, che la eseguì come prova d’ingresso per essere ammesso fra gli scultori fissi della Fabbrica. Originario di Viggiù, presso Varese, Buzzi fu forse l’artista più vivace della scultura lombarda settecentesca, protostatuario (cioè scultore capo) del Duomo dal 1753 al 1775: dai maestri Carlo Beretta e Carlo Francesco Mellone, attivi nel cantiere della Cattedrale, apprese le lezioni del rococò e del rinnovamento dell’Accademia romana, sviluppando un linguaggio personale improntato al dissolvimento della forma nell’atmosfera. Una cifra stilistica già ravvisabile in potenza nel “Sonno di Endimione”.