L’opera, databile all’ultimo decennio del Quattrocento, è uno degli oltre seicento peducci del Duomo, elementi di sostegno degli archetti trilobati presenti sulla zoccolatura della Cattedrale.
Caratterizzati dalle forme più svariate (busti e figure umane, animali reali o fantastici, teste di mascheroni ecc.), i peducci sono stati soggetti ideali per gli scultori del Duomo, che hanno riversato in essi una ricchezza di fantasia ben superiore alla loro effettiva importanza architettonica.
In particolare il peduccio in oggetto, proveniente dal braccio di croce meridionale, è uno dei più antichi: esposto in Museo all’interno della sala dedicata all’epoca viscontea (n. 4), rappresenta la testa di un leone con le fauci spalancate a mostrare i canini, coronata da una criniera divisa in ciocche arricciate. Gli occhi, affondati in cavità orbitali molto profonde, dovevano apparire più feroci completi delle perdute pupille in piombo.
Gli studiosi hanno attribuito il peduccio a un ignoto scultore legato alla tradizione dei maestri campionesi: sotto questo nome si riuniscono scultori, architetti e lapicidi originari delle zone di Campione, Lugano e dei laghi lombardi, attivi tra il XII e il XIV secolo in vari centri dell’Italia settentrionale e anche in Duomo.
Pur non formando una maestranza legalmente riconosciuta, gli scultori campionesi mostrano caratteri stilistici comuni che rivelano complessi rapporti con l’arte provenzale e con Benedetto Antelami, autore del Battistero di Parma (1196-1216).
Per quanto riguarda la Cattedrale milanese, fra i vari maestri campionesi che vi lavorarono tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento assume particolare rilevanza Giacomo, che insieme a Giovannino de’ Grassi diresse le prime fasi di costruzione e decorazione; per esempio, a Giacomo spettò la realizzazione scultorea del fastoso portale marmoreo della sacrestia aquilonare (1395-1396), influenzata dai disegni e dalle miniature di Giovannino.