Scopri le dieci opere imperdibili del Museo del Duomo
Capolavori di scultura, pittura, oreficeria, arte vetraria e tessile
Il Museo del Duomo è uno scrigno di preziosità provenienti dalla Cattedrale o a essa collegate, che raccontano oltre sei secoli di storia, arte e fede. Scopriamone insieme le dieci opere imperdibili in un viaggio attraverso le sue sale
Coperta di evangeliario detta “Dittico delle cinque parti”
Bottega dell’Italia settentrionale, seconda metà del V sec. (?)
Iniziamo il nostro percorso con il Dittico delle cinque parti, pregiato manufatto in avorio, oro e pietre preziose, databile probabilmente alla seconda meta del V secolo ed esposto nella prima sala del Museo in cui è custodito il Tesoro del Duomo.
Forse utilizzato in origine come coperta di un evangeliario, libro liturgico con i brani del Vangelo da leggere nel corso dell’anno durante la messa, il dittico è denominato “delle cinque parti” (scopri qui il suo recente restauro) perché ciascuna delle due superfici a rilievo che lo compongono, dette piatti, è costituita da cinque placchette: quattro più piccole sui lati e una maggiore al centro, decorata da un gioiello dorato simbolo di Cristo. Sul piatto anteriore si trova l’Agnus Dei, circondato da una corona di frutti e spighe, mentre su quello posteriore la Croce trionfante, splendente di pietre preziose e perle.
San Giorgio
Giorgio Solari, 1403
Nella Sala delle Origini, che ospita antiche testimonianze artistiche della prima fase di costruzione del Duomo, avviata nel 1386 circa per volere di Gian Galeazzo Visconti, Signore di Milano, troviamo la scultura raffigurante San Giorgio (1403). Venne realizzata da Giorgio Solari in marmo di Candoglia, l’inconfondibile materiale bianco e grigio-rosato da sempre impiegato per il rivestimento e la decorazione della Cattedrale. L’opera rappresenta il santo come un imponente guerriero, nel cui volto la tradizione identifica i lineamenti di Gian Galeazzo Visconti, che nel 1387 fondò la Veneranda Fabbrica per sovrintendere alla costruzione del Duomo.
Trasferito in Museo dopo essere stato restaurato in seguito ai danni riportati durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, il San Giorgio svettava sulla cima della prima guglia della Cattedrale, la guglia Carelli: rivolta verso Corso Vittorio Emanuele II, fu così intitolata in ricordo di Marco Carelli (ascolta qui la sua storia), ricco mercante e primo grande donatore della Fabbrica, a cui lasciò tutto il suo ingente patrimonio per contribuire alla costruzione della Cattedrale.
Padre eterno
Beltramino de Zutti, 1416-1425
Il Padre eterno, esposto nella Sala dell’Epoca viscontea, è un vero e proprio capolavoro dell’oreficeria gotica lombarda: raffigurante la testa del Creatore in rame sbalzato, argentato e dorato, colpisce l’osservatore sia per la sua monumentalità sia per l’elegante precisione con cui sono descritti sopracciglia, iridi, pupille e il fiammeggiante groviglio di barba e capelli.
Il Padre eterno fu collocato in Duomo nel 1426 per chiudere la serraglia del catino absidale, cioè l’elemento architettonico situato all’incrocio delle volte sopra l’Altare maggiore. Consapevole del grande valore artistico e simbolico dell’opera, nei primi anni Sessanta del Novecento la Fabbrica decise, per la sua salvaguardia, di rimuoverla dalla Cattedrale e trasferirla in Museo. Allo stesso tempo, per sostituirla in Duomo, le esperte maestranze dell’Ente realizzarono una copia in bronzo e rame, ottenuta tramite un calco in gesso che riproduce fedelmente il Padre eterno originale.
Santa Lucia
Maestro del San Paolo Eremita, 1466-1470
Fra le statue custodite nella Sala dell’Età sforzesca, un posto di rilievo spetta alla Santa Lucia. Proveniente da una finestra del lato sud del Duomo, l’opera raffigura la giovane martire siracusana – che fu accecata e uccisa nel IV secolo per avere difeso la sua fede in Dio – come una fanciulla, abbigliata con una morbida veste il cui lembo superiore destro è sollevato e sostenuto dal braccio, ricadendo in una lunga piega che si conclude con un’elegante forma a ricciolo.
Il delicato volto ovale di santa Lucia, dall’espressione assorta, si contraddistingue per il particolare delle pieghe del velo, da cui fuoriescono accenni di capigliatura: quest’ultima è raccolta da una retina sopra la quale è posizionata l’aureola. La mano destra regge invece un piattino con gli occhi della martire, emblema del suo supplizio.
Protettrice della vista e quindi anche degli scalpellini della Fabbrica, che nel loro lavoro quotidiano rischiavano spesso di essere colpiti agli occhi dalle schegge del marmo durante la sua lavorazione, la Santa Lucia è stata riconosciuta dagli studiosi come una delle più caratteristiche della Cattedrale.
Creazione del firmamento
Corrado de Mochis su cartone di Giuseppe Arcimboldi, 1549-1557
Proseguendo nel nostro percorso alla scoperta delle dieci opere imperdibili del Museo del Duomo, arriviamo nella sala dedicata alle vetrate antiche della Cattedrale (ascolta qui la loro storia), che conta oltre 164 finestroni, di cui 55 con vetri istoriati, animati da oltre 3.000 personaggi.
In particolare, soffermiamo la nostra attenzione sull’antello (cioè pannello) raffigurante la Creazione del firmamento. Proveniente dalla vetrata dell’Antico Testamento, decorante uno dei grandi finestroni dell’abside del Duomo, l’antello appartiene al cosiddetto Trittico della Creazione, che ne comprende altri due rappresentanti la Creazione degli animali e la Creazione dell’uomo.
Nell’antello Dio padre, posizionato sulla sinistra, è sospeso nel cielo stellato: raffigurato di profilo e vestito con una tunica rossa e un manto blu, egli compie con la mano destra un gesto benedicente.
Il capo dalla folta capigliatura bianca, riccioluta come la barba, è circondato da un’aureola raggiata. Davanti a Dio si staglia un semiarco con i simboli delle costellazioni dal Leone all’Acquario, insieme a nubi fra cui compaiono due teste di putti intente a soffiare, personificazioni dei venti. I colori intensi delle tessere vitree risplendono di luce, simbolo ed espressione del divino.
Disputa di Gesù fra i dottori del tempio
Jacopo Robusti detto il Tintoretto, 1540-1543 circa
Le Sale dell’Età borromaica sono introdotte da un capolavoro pittorico di altissima qualità: la Disputa di Gesù fra i dottori del tempio di Jacopo Robusti detto il Tintoretto.
Pietra miliare della produzione del maestro veneziano, questo imponente olio su tela raffigura l’episodio evangelico secondo il quale il dodicenne Gesù, in visita con i genitori a Gerusalemme, si trattiene a loro insaputa nel tempio, interrogando i dottori della Legge su questioni teologiche e sconcertandoli con la sua intelligenza.
Una curiosità: secondo un’interpretazione, Tintoretto avrebbe lasciato il suo autoritratto nel giovane dottore a sinistra, con il viso rivolto verso l’osservatore. Tiziano sarebbe invece l’anziano appoggiato a un bastone che gli gira le spalle, mentre a Michelangelo corrisponderebbe la figura dal cappello rosso seduta alla destra di Gesù.
Passaggio del Mar Rosso
Nicola Karcher su cartone di Giovanni Battista Bertani, 1554-1556
Il grandioso arazzo raffigurante il Passaggio del Mar Rosso è ospitato nella sala al cui interno sono esposti i noti “arazzi Gonzaga” (scopri qui la loro storia), donati nel 1563 dal duca di Mantova Guglielmo Gonzaga all’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, che a sua volta li cedette alla Fabbrica.
Eseguito in trama di lana, seta, argento e oro, l’arazzo appartiene alla preziosa serie con Storie di Mosè che in origine comprendeva sette esemplari: di essi ne rimangono oggi quattro, tutti custoditi presso il Museo del Duomo.
In primo piano i soldati egizi, a cavallo o su carri, scendono verso il mare e ne percorrono il fondale asciutto fra le acque separate. Sullo sfondo si trova invece la colonna di fuoco e di nube dalla quale Dio, non visibile, ordina a Mosè, ritratto sulla riva opposta insieme al popolo ebraico, di stendere la sua mano sul mare affinché si richiuda, inghiottendo i nemici. Il tutto è racchiuso da una rigogliosa bordura vegetale, arricchita da trofei di uccelli e pesci, targhe commemorative di Guglielmo Gonzaga e ovali con altri episodi della vita di Mosè.
Intelaiatura della Vergine Assunta
Giovanni Battista Varino, 1773
La Madonnina, simbolo del Duomo, (scopri qui la sua storia) che dal 1774 veglia su Milano dalla cima della Guglia maggiore a 108 metri di altezza dal suolo, è alta 4.16 metri e composta da 33 lastre di rame sbalzato e dorato, fissate a un’intelaiatura metallica.
Nella sala del Museo dedicata a questa iconica opera è possibile ammirare un manufatto estremamente particolare e affascinante: l’Intelaiatura della Vergine Assunta, cioè la struttura interna in ferro realizzata nel 1773 dal fabbro Giovanni Battista Varino, su cui furono fissate le lastre in rame dorato predisposte dall’orafo Giuseppe Bini.
Alta 4.10 metri e larga 1.50, l’opera è dotata alla base di un anello al quale sono agganciate le braccia di ancoraggio dei tiranti che la collegavano alla Guglia maggiore. Nel 1967, il forte degrado del metallo indusse la Fabbrica a sostituire l’intelaiatura originale con un’altra in acciaio inossidabile.
Un importante e delicato intervento di restauro che ha permesso di salvaguardare la Madonnina, continuando ad assicurare ai milanesi la presenza del suo sguardo benevolo e protettivo.
Modello del Duomo
Autori vari, 1519-1891
Il modello ligneo del Duomo, detto Modellone, è il più antico custodito dalla Fabbrica: alto 5.25 metri e largo 4.18 per 7.90 di profondità, in area lombarda può essere confrontato solo con i modelli di minori dimensioni delle cattedrali di Pavia e Vigevano.
Eseguita tra 1519 e 1891 seguendo l’evolversi della costruzione del Duomo e affiancando i disegni progettuali come fondamentale strumento di sperimentazione delle soluzioni architettoniche pensate per la Cattedrale, dal 1953 l’opera è esposta in Museo, dove si trova ancora oggi nella Sala dei modelli lignei.
Intagliato in legno di tiglio, noce e cirmolo con integrazioni in abete, il Modellone costituisce una vera e propria rappresentazione tridimensionale in scala 1:22 del Duomo. Tra le maggiori differenze rispetto all’edificio attuale risalta quella relativa alla facciata, che riprende l’irrealizzato progetto neogotico di Giuseppe Brentano (1888).
Dal 1645 l’opera è stata oggetto di vari restauri, fra cui quello condotto da Giuseppe Bellora (1841-1846): oltre a smontare l’intera struttura per ripararne le parti danneggiate, egli vi aggiunse le prime due campate a partire dalla facciata, le guglie – compresa quella maggiore – e altri elementi (falconature, archi rampanti ecc.).
Bozzetto per la quinta porta del Duomo
Luciano Minguzzi, 1964
Il percorso alla scoperta delle dieci opere imperdibili del Museo del Duomo si conclude nell’ultima sala, dedicata alla quinta porta della Cattedrale (1965), la prima a destra guardando la facciata.
Qui è custodita la fusione in bronzo, risalente al 1964, del primo bozzetto dell’opera, eseguito da Luciano Minguzzi. Scultore bolognese impegnato in una ricerca basata su una figurazione densa di accenti espressivi ed esistenziali, l’artista ricevette dalla Fabbrica la commissione della quinta porta dopo aver vinto alla pari con Lucio Fontana – il maestro italo-argentino celebre in tutto il mondo per i suoi Tagli – un concorso appositamente indetto.
Il bozzetto di Minguzzi, incentrato sul tema Origine e vicende del Duomo, comprende dodici episodi della storia plurisecolare del Duomo: tra essi spiccano quelli relativi alla sua fondazione nel 1386, al trasporto dei marmi di Candoglia per via fluviale e alla processione del Santo Chiodo, tenuta da Carlo Borromeo nel 1576 per chiedere a Dio la fine della terribile pestilenza che aveva colpito Milano.