Il Modellone ligneo del Museo
Un antico sistema CAD
Strumento di verifica e sperimentazione della prassi progettuale oggi conservato fra le sale del Museo
Per rappresentare e lavorare alla costruzione di un’opera architettonica di ingenti dimensioni come il Duomo di Milano, il mezzo più semplice e più esplicativo, è la sua realizzazione come modello in scala ridotta, sia per la sua espressione tridimensionale sia per la concretezza fisica. Difatti sin dai primi anni di cantiere, i disegni progettuali erano affiancati da modelli lignei, su cui era possibile verificare corrispondenze tra forme e funzioni o riscontrare eventuali difetti e dubbi di proporzioni e di volumi.
Ideato probabilmente già completo di particolari nella sua concezione originaria, il Duomo fu rappresentato da modelli di tutti i tipi e materiali: legno, piombo e gesso, dei quali restano solo le notizie, ad esempio il 9 febbraio 1387 si parla di un tiburio in piombo, realizzato da “Anechino da Alemania”. Più tardi nel 1389 sono documentati i modelli di Gabriele Stornaloco e Giovannino de Grassi; quasi un secolo dopo nel 1490 si decise per la costruzione del tiburio, a seguito di un’esposizione di modelli nel Castello di Porta Giovia. Perfino Leonardo e Bramante presentarono le loro soluzioni, criticando talvolta questa prassi per modelli.
Ma è al secolo seguente che risale il modello più antico, oggi conservato in Museo, detto anche “Modellone”. Al 19 maggio 1519 si data la delibera per l’esecuzione di tale opera lignea a cui parteciparono vari architetti come l’Amedeo, Gerolamo della Porta, Cristoforo Solari, Giovanni da Molteno, il Bramantino, Bernardo de Coiri, Antonio da Lonate, e Bernardino da Treviglio.
Realizzato in legno di tiglio, noce e cirmolo, con integrazioni d’abete, il Modellone è in scala 1:20 (circa 1/12 per braccio milanese). Dovette allora essere quasi compiuto nella sua parte strutturale con l’abside, il transetto e il tiburio e doveva presentare 5/6 campate dal transetto verso la facciata. Gli intagliatori all’epoca erano: Giovan Pietro da Sesto, Vincenzo da Seregno (detto il Seregni), e Martino da Treviglio. Alcuni restauri sono documentati nel 1607 e nel 1633. Fra il 1760 – 1765 vi fu posta la Guglia Maggiore ad opera di Giuseppe Antignati, che eseguì poco dopo il modello della Madonnina.
Inizialmente conservato nell’antico cantiere del Duomo, fu poi smontato, integrato con due campate, molte guglie, falconature e archi rampanti, restaurato e rimontato da Giuseppe Bellora nell’attuale sistemazione. Al Museo sono inoltre conservati due modelli di semi facciata di Francesco Castelli e Luca Beltrami.
Ancora oggi periodicamente il modellone è sottoposto a manutenzione e restauri, come quella realizzata da lunedì 19 Giugno fino a lunedì 26 giugno 2017 nella seconda sala che ospita “invenzioni, progetti e materia”.
Questo intervento fa parte delle buone pratiche che ogni Museo mette in atto nei confronti del proprio patrimonio nella consapevolezza che una manutenzione ordinaria periodica possa garantire alle opere d’arte un eccellente stato di conservazione, evitandone il degrado e successivi restauri extra ordinari o certamente più invasivi.
Uno dei compiti del Museo è difatti monitorare costantemente le opere al fine di programmare interventi mirati e calendarizzati per tutelare il patrimonio.
Luca Quartana insieme alla sua collaboratrice Antonella Ortelli si è occupato dell’intervento; avvalendosi di aspiratori di varie dimensioni e potenza è stato rimosso il particolato atmosferico depositato sul Modellone e sui modelli delle facciate del Duomo progettate da Beltrami, Castelli e Buzzi presenti nella sala. Oltre alla rimozione delle polveri interne ed esterne, si è proceduto all’ancoraggio degli elementi decorativi decoesi, alla riceratura e analisi dello stato conservativo dell’opera. Questo in un’ottica di conservazione della materia lignea e assetto strutturale del sistema di rimontaggio, a seguito dell’importante e delicata operazione di restauro intrapresa dal 2006 al 2013 al fine di ripristinare l’antico sistema di incastro, che ha visto anche la sostituzione di ogni vite o chiodo metallico che non fosse possibile rimuovere con innovative viti di resina ideate proprio per tale restauro.
Oggi più che mai la Veneranda Fabbrica si è inserita nel trend delle best practices museali, al passo con le più aggiornate tecnologie, sistemi di conservazione e restauro del terzo millennio.