Raffigurante un “Profeta con turbante” e databile alla fine del Cinquecento, la scultura in marmo di Candoglia proviene dal capitello di un pilone prospiciente l’altare maggiore del Duomo, da cui è stata rimossa alla fine degli anni Sessanta per consentire importanti lavori di consolidamento dei piloni della Cattedrale.
Esposta in Museo dal 1977 e oggi custodita nella sala dedicata all’età borromaica (n.10), l’opera rappresenta il “Profeta” come un uomo anziano dalla lunga barba e lo sguardo assorto, rivolto verso la sua sinistra.
Abbigliato con turbante sul capo, tunica e manto dagli ampi panneggi, egli regge fra le mani un cartiglio aperto, e poggia i piedi cinti da calzari su un basamento poligonale.
Gli studiosi attribuiscono la statua a un ignoto scultore lombardo influenzato dallo stile di Francesco Brambilla, dal 1572 prolifico esecutore dei progetti plastici elaborati dall’architetto del Duomo, Pellegrino Tibaldi. Quest’ultimo fu il principale interprete della riforma teorizzata dal cardinale Carlo Borromeo dopo il Concilio di Trento (1545-63), che prevedeva la nuova sistemazione di tutta l’area presbiteriale della Cattedrale.
All’interno di tale contesto Brambilla ebbe un ruolo determinante, incaricato come si è detto di tradurre in modelli tridimensionali in cera e creta i disegni delle sculture progettate dal Pellegrini per poi consegnarli ai vari artisti che le avrebbero realizzate.
Nello specifico, pur mostrando una qualità più modesta, il “Profeta inturbantato” è affine al coevo “Profeta” marmoreo attribuito a Brambilla come opera autonoma, anch’esso proveniente dal capitello di un pilone del Duomo ed esposto nella sala n. 10 del Museo.