L’antello, databile fra 1481 e 1482, appartiene alla vetrata dell'”Apocalisse”, decorante il grande finestrone centrale dell’abside del Duomo, particolarmente riconoscibile anche dall’esterno perché connotato al centro dalla “raza”, il sole raggiante emblema dei Visconti.
Avviata nel 1417 e terminata nella seconda metà del Cinquecento, la vetrata narra episodi tratti dall’Apocalisse di san Giovanni evangelista, unico libro profetico del Nuovo Testamento che contiene misteriose rivelazioni sui destini ultimi dell’umanità e del mondo.
Nello specifico, l’antello di cui sopra è stato rimosso dalla Cattedrale per ragioni conservative, e negli anni Cinquanta è entrato a far parte della collezione del Museo, dove si trova tuttora nella sala dedicata all’arte vetraria del Duomo (n. 9).
L’opera rappresenta parte dell’episodio evangelico nel quale san Giovanni riceve da Dio l’ordine di scrivere il testo dell’Apocalisse: il santo, seduto sulla destra, è colto nel momento della visione, con la sigla “S. jo” posta vicino all’aureola che lo identifica.
Sopra di lui, un angelo uscente da una nuvola reca un cartiglio con alcune delle parole di Dio: “[Q]uod vides scribe in libro / vite et mitte septe[m] ecclesiis” (“Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese”) (Ap, 1, 10-20).
Come testimoniato dalla barca con traghettatore sulla sinistra, la scena si svolge sull’isola di Patmos, sede dell’esilio di san Giovanni.
L’episodio doveva in origine essere articolato su due antelli: manca infatti ogni riferimento alla visione dei sette lucernieri d’oro e di Dio.
Nonostante lo stato di conservazione alquanto compromesso, con molte tessere di altra provenienza montate come riempitivi (per esempio la testa ottocentesca di san Giovanni), grazie al recente restauro gli studiosi sono riusciti ad attribuire l’opera al pittore Cristoforo de Mottis, esponente con Antonio da Pandino e Niccolò da Varallo del linguaggio prerinascimentale dell’arte vetraria in Cattedrale.
La figura dell’angelo nell’antello del Duomo, infatti, costituisce una replica fedele di quella inserita da de Mottis negli affreschi eseguiti per la cappella de Marinis nella cattedrale di Genova, il cui unico frammento superstite è oggi custodito presso il Museo Diocesano della città ligure.