Scultura

Santo vescovo

di Jacopino da Tradate (notizie dal 1401-Mantova, 1464-1466?)

Cronologia: Primo quarto del XV secolo

Misure cm: 56 × 18 × 12

Materia e Tecnica: Marmo di Candoglia a tuttotondo

N. Inventario: ST121

Raffigurante un “Santo vescovo”, la scultura in marmo di Candoglia è databile al primo quarto del Quattrocento. Proveniente dal capitello di un pilone del Duomo, si trova oggi esposta in Museo presso la sala n. 6, dedicata appunto alle statuette dei capitelli dei piloni.

Il personaggio regge con la mano sinistra un pastorale, ornato da un ricciolo traforato a giorno, e con la destra benedice (l’indice e il medio levati per impartire la benedizione sono mancanti).

Il volto appare realistico nel modo di rendere le rughe ai lati della bocca, gli occhi sottili con le pupille dipinte, lo stacco netto fra la fronte e l’incavo oculare, le labbra sottili e lineari.

Il prelato indossa dei guanti, dal cui polso pende una nappa, e un’ampia veste stretta in vita da una cinta, che ricade fino a ricoprire completamente i piedi. Il piviale sopra la veste è invece chiuso da un elegante fermaglio polilobato.

La mancanza di attributi specifici impedisce una precisa identificazione del santo.

Per quanto riguarda il versante stilistico, gli studiosi hanno riscontrato forti affinità tra la resa del volto del “Santo vescovo” e quella del “San Babila” (ante 1419) di Jacopino da Tradate, anch’esso esposto in Museo nella sala dedicata all’epoca viscontea (n. 4).

Originario di Tradate, in provincia di Varese, Jacopino lavorò per la Cattedrale dal 1401 al 1425, ottenendo il favore della Veneranda Fabbrica sia per l’alto livello della sua produzione scultorea sia per le sue capacità direttive. Nel 1415, infatti, egli fu nominato scultore a vita presso l’ente e posto a capo di una bottega di formazione di giovani lapicidi, cioè gli artisti che si occupavano soprattutto delle sculture e dei bassorilievi destinati a capitelli, portali ecc.

Una delle sue opere più importanti realizzate per il Duomo è la statua raffigurante papa Martino V (1424), ancora oggi custodita in Cattedrale ed eseguita in ricordo della consacrazione dell’altare maggiore da parte del pontefice.
In essa emergono sia un’interpretazione classicheggiante della pienezza lombarda, come testimonia la morbida ricchezza del panneggio, sia una forte tensione naturalistica, che indaga tanto i particolari naturalistici quanto la psicologia del soggetto rappresentato.

In conclusione, la vicinanza stilistica al “San Babila” e l’alta qualità dell’opera inducono a pensare che anche il “Santo vescovo” sia uscito dallo scalpello di Jacopino da Tradate.