Scultura

Serafino su mensola

di Monich Walter e Peter, ambito di (scultura); Filippino da Modena, ambito di (mensola)

Cronologia: Inizi del XV secolo (scultura e mensola)

Misure cm: 293 × 45 × 40 ("Serafino"); 114 × 80 × 55 (mensola)

Materia e Tecnica: Marmo di Candoglia a tuttotondo

N. Inventario: ST42, ST42.1

Raffigurante un “Serafino su mensola” e databile agli inizi del Quattrocento, la scultura in marmo di Candoglia proviene dal lato sinistro del grande finestrone centrale dell’abside del Duomo, particolarmente riconoscibile anche dall’esterno perché connotato al centro dalla “raza”, il sole raggiante emblema dei Visconti.

Rimossa dalla sua posizione nel 1991 per salvaguardarla dal punto di vista conservativo, l’imponente statua è stata sostituita da una copia ed accolta due anni più tardi in Museo, dove si trova tuttora esposta nella sala dedicata all’epoca viscontea (n. 4).

L’opera si compone di due elementi: la scultura raffigurante un “Serafino”, creatura celestiale appartenente alla più alta delle gerarchie angeliche, e la mensola su cui essa poggia.

Il “Serafino”, scolpito in due blocchi marmorei, è caratterizzato da imponenti ali con fitti piumaggi, due delle quali coprono il corpo quasi avvolgendolo, mentre altre due si slanciano in alto facendo quasi da nicchia alla testa.

Il volto dai lineamenti addolciti e morbidi è coronato da un diadema con la croce, e raffinati bottoncini decorano sul petto e la manica sinistra la veste dagli elaborati risvolti; le mani giunte in preghiere risultano perdute.

Come accennato, il “Serafino” poggia su una raffinata base semiesagonale, impostata su archi inflessi aggettanti dalle fronti di uno slanciato poliedro a lunghe bifore trilobate, raccordate con un disco anch’esso quadrilobato.

La parte inferiore è costituita da ghimberghe, alti frontoni appuntiti tipici dell’architettura gotica spesso fiancheggiati da due pinnacoli, con inserti a goccia trilobati e scanditi da piramidine: queste ultime, elementi decorativi simili a guglie in miniatura, s’insinuano nelle profilature della mensola con gattonature a foglie carnose.

Studi recenti basati sulle fonti d’archivio attribuiscono il “Serafino” all’ambito di Walter e Peter Monich, scultori tedeschi originari di Monaco attivi per il Duomo tra la fine del Trecento e l’inizio del secolo successivo. In particolare, dal 1403 al 1407 Walter ricoprì in Cattedrale l’importante ruolo di caposquadra dei lapicidi, cioè gli artisti che si occupavano soprattutto delle sculture e dei bassorilievi destinati a capitelli, portali ecc.; sue opere esposte in Museo sono un “San Giovanni evangelista” (1406 circa) e un “San Giuda Taddeo” (1405-1409 circa).

Peter, invece, fu probabilmente un suo allievo nonché autore, nel 1403, di un altro “Serafino”, posto in origine sul lato destro del finestrone absidale centrale e oggi in Museo. Come in questo caso, anche l’elegante mensola di sostegno al “Serafino” di destra, risalente agli inizi del Quattrocento, è stata ricondotta all’ambito di Filippino da Modena, responsabile dell’esecuzione dei dettagli architettonici dei tre finestroni absidali.

Per quanto riguarda il versante iconografico, oltre che fra di loro i due “Serafini” si relazionano inoltre con la “Vergine Annunciata” e l'”Arcangelo Gabriele” scultorei situati sulla vetrata sotto la “raza” viscontea, culmine simbolico d’ideali religiosi e civili.

All’interno di tale contesto, le due creature alate evocano la santità e la gloria di Dio insieme all’ardore e allo splendore della carità, espressi compiutamente nel mistero dell’Incarnazione di Cristo.