Raffigurante un “Telamone”, cioè una figura maschile scolpita usata in luogo di colonna o pilastro, e databile al 1795, la colossale scultura in marmo di Candoglia proviene da un contrafforte della facciata del Duomo, da dove è stata rimossa e sostituita con una copia in occasione dell’ultimo restauro della stessa (2003-2008). Entrata in Museo nel 2013, l’opera si trova oggi nella sala dedicata all’Ottocento (n. 17).
La statua rappresenta il telamone come un uomo maturo e barbato, dai capelli lunghi e folti e dalla muscolatura rilevata.
Il volto fortemente ribassato poggia sul petto, mentre Il corpo seminudo e curvato in avanti mostra la gamba sinistra diritta e quella destra flessa: lo stesso schema si ripete per gli arti superiori, con le mani che trattengono i lembi di un manto assicurato alle membra da una fascia sul torace.
Il piede sinistro poggia su un basamento quadrato, mentre il destro si trova sopra un ulteriore rialzo.
Grazie alle fonti d’archivio, gli studiosi hanno potuto identificare l’autore dell’opera in Grazioso Rusca: originario di Rancate, nel Canton Ticino, e discendente da una famiglia di artisti, pur rimanendo legato alla tradizione della sua terra lo scultore riuscì comunque ad appropriarsi dei modi gotici e barocchi con tecnica e spirito disinvolti.
Allievo dell’intelvese Stefano Saverio, nel 1785 Rusca fu accolto fra gli artisti della Veneranda Fabbrica in qualità di scultore “stabilmente ammesso”. Risalgono a questo periodo le sue prime opere per la Cattedrale, ossia i bassorilievi destinati alla seconda fascia basamentale di facciata, per la quale nel 1786 era stata iniziata la serie di rilievi ispirata a soggetti dell’Antico Testamento (“Mosè salvato dalle acque”, “Elia che resuscita il figlio della vedova di Sarepta”, “Davide e Golia”, “Fuga di Loth da Sodoma”).
Al 1795 data invece il “Telamone” in oggetto, uno dei tre eseguiti da Rusca per la facciata che, secondo gli studiosi, risultano accomunati da un linguaggio artistico più misurato rispetto a quello delle opere di stesso soggetto realizzate per il Duomo fra Seicento e Settecento.
In particolare, nella definizione di particolari secondari come le capigliature, lo scultore tende a una descrizione decisamente più classicista, evidente anche nei panneggi meno rigonfi che aderiscono alle membra rilevate.
Nominato protostatuario, cioè scultore capo della Fabbrica, nel 1805, Rusca fu attivo per il Duomo fino alla morte, firmando statue di profeti per la facciata e di santi per le guglie: figure energiche influenzate dal manierismo di Pellegrino Tibaldi oppure interpretate con compostezza e grazia neoclassiche.
Autore di indubbie qualità tecnico-artistiche, Rusca lavorò non solo a Milano (per esempio all’Arco della Pace e in San Satiro) ma anche in altre località, tra le quali Novara. Qui, in San Gaudenzio, gli sono attribuite varie statue del braccio destro del transetto, come quella raffigurante “San Massimo” (1826-1829).