È la prima delle Guglie dedicate ai Milanesi e sembra aprire il corteo di quelle che lo precedono. Non ha nessun attributo, né di santo, martire, soldato, prelato, principe o altro. È un giovane fiero, ritto nella schiena e dal corpo scolpito, con lo sguardo verso l’alto. Il braccio sinistro è alzato e la mano sembra tenere qualcosa: una lancia? Una fiaccola? I capelli, scapigliati dal vento, ricordano il riverbero di una fiamma. Che fosse un tedoforo, il cui compito era aprire la strada al suo seguito di Guglie Milanesi? Non è facile dirlo. “Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Con questi versi Eugenio Montale apriva Ossi di Seppia, durante il soggiorno a Milano, dove morirà nel 1981. I funerali di Stato si terranno proprio nel Duomo, officiati da un altro grande milanese d’adozione, Carlo Maria Martini. Questo possiamo dire di questa statua, ovvero ciò che non sappiamo, se non che questa Guglia è dedicata a chi non ha lasciato nome né traccia, a chi si è perso nel fiume in piena della memoria. A tutti i Milanesi ai quali non resta che un’ombra del loro operato, silenzioso ma decisivo nella Storia. Essa rappresenta chi nel silenzio tiene le mani giunte, chi porta un tacito fuoco nel cuore, che brucia lento, che rischiara nelle tenebre, che è lume che si vede da lontano, faro del pellegrino. Ognuno è anonimo, finché non pronuncia il suo nome. In questa statua c’è ogni Milanese che opera silenzioso nella Storia, foriero di una nuova luce.