È l’ultima Guglia del lato Nord, prima che il Duomo si esibisca nella sua monumentale facciata ad Ovest. Si tratta di un giovane coperto in parte da una tunica, con una tracolla e la mano sinistra che sembra stringere qualcosa: un’arma, una fiaccola, un bastone; elementi che ci avrebbero detto se era un guerriero, un martire o un pastore. Guarda ad Occidente, da dove soffia il Favonio, il vento caldo di ricaduta che scende dalla Alpi, portando su Milano la pioggia, ma anche temperature più miti. E’ il vento della primavera. Favonio viene dal latino favēre, “far crescere”, perché irrora i campi di acqua e li alterna col sole, così che possa imbiondire il grano. La fantasia degli Antichi faceva Favonio figlio di Astreo, il titano delle stelle, e di Eos, l’aurora. Pare che si unì all’arpia Celeno e da loro nacquero Balio e Xanto, i cavalli immortali di Achille: veloci come il vento e temibili come arpie. Forse pensa a queste storie, il Santo del Favonio, quando il vento gli scompiglia i capelli di pietra. È testimone delle stagioni di passaggio, dell’inverno che diviene primavera, delle piogge che portano vita, dei mutamenti incessanti ai quali siamo sottoposti. Esistenza ciclica.