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O mia bela Madunina chi te brilet de luntan…

Veduta della Guglia Maggiore al cui apice trionfa la stutua della Madonnina imbandierata

La Madonnina del Duomo di Milano compie 250 anni dal 1774 quando la statua dorata fu collocata sulla guglia più alta del Domm, protesa nel cielo ed iniziò a brillare nel cuore e negli occhi di tutti i Milanesi, che a Lei ancora oggi affidano pensieri e preghiere.

 

Simbolo della Città di Milano nel mondo, di protezione e di speranza per l’umanità, la Madonnina rappresenta l’anima e l’identità del popolo meneghino che sin dalle origini della costruzione, ha voluto che il Duomo fosse un omaggio alla Madonna, il santuario mariano per eccellenza. Lo dimostrano le due estreme polarità: la dedicazione a “Mariae Nascenti”, proclamata con la dedicazione in facciata e la sublimazione del suo culto con la statua dell’Assunta posta sul punto più alto della Cattedrale, segno di mediazione tra umano e divino.

La Veneranda Fabbrica si è così affidata alla materna intercessione della Vergine, che ne ha protetto l’opera fin dall’inizio dell’edificazione ed ancor prima della sua costruzione. Di fatti, nel XIV secolo la piazza rappresentava già un centro episcopale di grande rilievo e importanza, ospitava infatti due cattedrali più antiche e preesistenti: l’antica basilica invernale di Santa Maria Maggiore, che sorgeva in corrispondenza dell’attuale navata centrale del Duomo e Santa Tecla, la basilica estiva in cui veniva officiato il culto nei mesi primaverili ed estivi. Lo stesso Arcivescovo Antonio da Saluzzo nella bolla del 12 maggio 1386, come nelle suppliche per il Giubileo indirizzate dalla Fabbrica del Duomo nell’anno successivo, ci conferma che la nuova cattedrale nasceva dedicata all’Assunta: “…nel cui nome, che si celebra il 15 agosto, questa chiesa si è iniziata…”.

Il Duomo ostenta e glorifica questa sua pienezza mariana con il linguaggio dell’Arte: dagli altorilievi e dai battenti della porta maggiore dedicata alle gioie e ai dolori della Vergine – sulla facciata, alle pale d’altare, alle luminose e policrome vetrate artistiche, fino alle sculture e alle formelle sapientemente modellate che animano l’interno del tempio, fondono in un mirabile coro le loro voci, un inno popolare di ringraziamento e devozione verso Maria, Madre dell’umanità.

Tutto ciò spiega e dà un significato alla decisione del 13 luglio 1765 di Francesco Croce, Architetto della Veneranda Fabbrica cui era stato dato l’incarico di realizzare la Guglia Maggiore, di ornare la Gran Guglia con una statua della Vergine portata in cielo da angeli.

Ma chi effettivamente ebbe l’idea iniziale di collocare lassù in alto la Madonnina? È praticamente impossibile stabilirlo con esattezza; la prima testimonianza di una possibile collocazione della statua della Vergine sulla Guglia Maggiore si trova in un disegno dell’Architetto Cesare Cesariano datato 1521, dove a coronamento del Duomo compare svettante sul pinnacolo più alto, una statua dell’Assunta, quando tra le impalcature ancora si stavano alzando le guglie minori.

“Si trattava forse di un’idea nata nel momento stesso in cui si cominciò a levare verso il cielo la cesellata mole del tempio dedicato a Maria Nascente”. Come scrive David Lima in un articolo tratto da Colloqui dell’ottobre 1958.
“Per il Consiglio, ordinare una statua era cosa di ordinaria amministrazione. Da secoli si scolpivano statue per il Duomo e ce n’era una folla installata sui contrafforti esterni. Di solito si dava l’incarico ad un artista di fiducia e ci si affidava alla sua abilità e fantasia senza pretendere che ne uscisse sempre un capolavoro, ma per questa, che rappresentava – si può dire – il coronamento di tutta l’opera, si volle usare la massima diligenza”.

Venne incaricato l’intagliatore Antignati di preparare un modello in legno da farsi secondo la guida e le direzioni dello scultore Giuseppe Perego, che nel 1769 presentò tre diverse soluzioni: la prima “con molti angioli al piede” secondo le prescrizioni del Croce, la seconda per ordine del signor Marchese Fiorenza “con due soli angioli al piede” e infine la terza “senza angioli” che fu approvata e adottata “per formare la succenata statova in legno”. Per maggiore garanzia gli fu affiancato, come consigliere, il pittore Antonio De Giorgi “al quale si corrisponderà regallo ad arbitrio dei signori fabbriceri”. Il modello preparato su legno sarebbe poi stato riprodotto in rame dall’orefice Preda. In rame, protetta da una efficiente doratura e non in marmo di Candoglia, proprio per difficoltà tecniche e di peso.
“Possiamo ritenere che la decisione adottata di realizzare una statua di rame dorato sia stata determinante nel sublimare la scultura dell’Assunta nella Madonnina, che sempre più largo spazio ha trovato nel cuore dei Milanesi. Diversamente, realizzata in marmo, sarebbe stata una delle 4.000 statue della cattedrale, resa per la distanza del tutto simile ad una delle 134 statue di santi poste sulla cima di altrettante guglie del Duomo”, come afferma Ernesto Brivio in un articolo su Il Segno di novembre 1974.

Non tutto corse liscio però nella realizzazione della statua, di fatti molteplici incertezze e questioni di notevole rilevanza si sollevarono tra il 1765 e il 1769: oltre alla scelta del modello e il tipo di doratura, un altro annoso problema portò la Fabbrica ad indugiare sulla messa in opera e nello specifico: proteggere dai fulmini i pinnacoli del Duomo mediante “certo ordigno praticato dal padre Beccaria, professore di Torino”. L’ordigno, che ancora non era chiamato parafulmine, fu una novità che suscitò la perplessità dei Consiglieri.
Al fine di risolvere il dubbio, il deputato marchese Triulzio si arrampicò sul tetto della Chiesa insieme all’astronomo Padre Boscovich ed esaminata accuratamente la situazione, decise di interpellare Padre Beccaria.

Intanto su relazione di Francesco Croce, che l’11 settembre 1770 aveva preso visione dei due modelli in terracotta del Perego (conservati oggi al Museo del Duomo di Milano) riconoscendogli: “Invenzione e il Disegno e… l’Esecuzione dell’Idea”, stimandoli per un compenso di 200 scudi, il Consiglio della Fabbrica delibera la fusione in rame della statua affidandola all’orafo Giuseppe Bini per un prezzo di Lire 11.000, data la sopraggiunta morte dell’orefice Preda.
Seguirono tre anni di silenzio, finché nel 1773 non troviamo una delibera del nuovo Consiglio riunito in cui si dibatte ancora sulla faccenda del parafulmine.
In verità si era quasi decisi a realizzarlo, se non che arrivò una notizia da Parigi secondo cui da molti edifici erano stati tolti poiché considerati inutili se non dannosi. In effetti i risultati dei test dati da quelle macchine nuovissime in Francia non erano confortanti.
Su proposta del marchese Triulzio si decise allora di nominare un comitato specifico che riesaminasse da capo la controversia e valutasse le opportunità e le modalità per dotare la Guglia Maggiore di un parafulmini.

Nel frattempo, l’orefice Bini finì di modellare e battere le lastre di rame sul modello di legno dell’Antignati e ritenne di domandare un aumento rispetto alla cifra stabilita per il suo compenso, dal momento che gli fu chiesto di aggiungere ai piedi della statua una nuvola con quattro teste di angelo. Ci si accordò per un totale di 14.750 Lire che, a quanto risulta dagli Annali della Fabbrica, furono saldate nel 1778.

Il Consiglio, dopo aver attestato la conformità al modello, dispose di metterla per il momento nella sala delle riunioni e incaricò il fabbro Varino di preparare lo scheletro in ferro per saldare la statua alla guglia e concordò la cifra di 400 Lire. Per la doratura “a mordente e foglia” su indicazione del pittore Anton Raphael Mengs di Vienna, gli orefici impiegarono di 156 libretti, ciascuno di 25 fogli d’oro zecchino, per un totale di 3900 lamine d’oro.

L’ultima notizia, quella relativa alla collocazione è del 30 dicembre 1774, quando il Rettore riferì al Venerando Capitolo che il marchese don Giorgio Teodoro Triulzio aveva terminato la doratura e collocato la statua sulla cima della gran guglia con l’aiuto del fabbro Mazzono; si deliberò dunque che fossero “rese le più distinte grazie al prelodato signor maestro Triulzi per tutti gli incomodi del medesimo avuti nel far eseguire un’opera che ha meritato lo universale applauso”.

Nel 1774 quel moto di amore, già presente nell’animo dei cittadini milanesi ottenne finalmente un volto, una forma, una linea scolpita contro cielo aderente all’immagine cui tutti si erano rivolti nelle proprie preghiere: la Vergine Assunta. L’avvenimento rappresentò il coronamento della grande tradizione mariana che aveva ispirato la costruzione del Duomo di Milano sin dalla posa della prima pietra, nel 1386. Oggi come allora, la benevolenza della luminosa figura cui tutti possono rivolgere sguardi e preghiere, sovrasta la città: la Madonnina è assunta universalmente a tramite tra il popolo e il cielo, protegge la città ed è aureo simulacro di amore e devozione.
(Tratto da La Madonnina del Duomo di Milano, edito dalla Veneranda Fabbrica del Duomo, maggio 2019)

Da allora la Madonnina subì quattro interventi di restauro, tre dorature: nel 1830, nel 1906 anno della prima Esposizione Internazionale ospitata a Milano (in previsione di un’eccezionale affluenza di forestieri che sarebbero saliti fino alla Guglia Maggiore, la direzione dei tecnici della Veneranda Fabbrica del Duomo si occupò di eseguire studi, lavori di consolidamento, rinforzo, ripulitura e infine la doratura) e nel 1939 in occasione della vigilia della festività di Maria.

La stampa annunciò una vera e propria “Festa di Luce” in cui la Madonnina avrebbe sfavillato nel suo nuovo aureo rivestimento. Al suono di una tromba, la statua della Madonnina fu scoperta su ordine del Cardinale Schuster che benedì la statua e indirizzò una preghiera della liturgia ambrosiana per la difesa e la protezione della città di Milano, benedicendo infine tutti i fedeli accorsi. Successivamente, nel marzo del 1967, il parafulmine della Madonnina rimase danneggiato da una violenta folgorazione, avvenimento che portò i tecnici della Veneranda Fabbrica ad effettuare un’attenta ricognizione dello stato di conservazione della statua, che riportò risultati inevitabili. In soli cinque anni dalla precedente ispezione del ‘62, l’armatura interna della Madonnina risultava gravemente corrosa dallo smog, dall’umidità e dai vapori acidi di cui l’atmosfera cittadina si era particolarmente impregnata e che aveva fortemente intaccato anche la doratura risalente alla fine degli Anni ‘30.

 

Interi bracci di ferro, sostegni e tiranti apparivano letteralmente corrosi. All’interno si era depositata una coltre di trenta centimetri di ruggine, così fu necessario smontare tutto e rimettersi all’opera. I lavori furono curati dall’Architetto della Fabbrica, ing. Carlo Ferrari da Passano, durarono quaranta giorni e richiesero l’installazione di una vera e propria officina sulla Terrazza maggiore, dove i pezzi della statua, smontati uno ad uno, furono portati per essere rimessi in sesto. Ma soprattutto gli specialisti della Fabbrica realizzarono uno scheletro nuovo in acciaio inossidabile, sul modello scrupolosamente ricostruito del Perego e il 17 agosto 1967 il Corriere Milanese finalmente proclamò: “Risplende sul Duomo la Madonnina illuminata”.
La struttura interna ripristinata nel 1967 è stata sottoposta a innovativi controlli, l’ultimo restauro risale al 2012. Il rame è stato ripulito, protetto con stesura di medium acrilico colorato e infine ricoperto con applicazione di 350 grammi di foglia d’oro.

Lo scheletro in ferro originale della Madonnina è oggi conservato presso il Museo del Duomo di Milano.

 

 

Curiosità sulla Madonnina

Un po’ di numeri:

 

4,16 m: l’altezza della Madonnina
33: le lastre di rame che rivestono la statua
399,2 kg: il peso delle lastre
584,8 kg: il peso della struttura portante in acciaio inox
6750: i fogli d’oro zecchino utilizzati nell’ultima doratura